Affrontiamo subito la questione. Brandon è figlio di
quel Cronenberg lì. Sì, proprio quello. Ancora sì, Brandon aveva detto che si
sarebbe dedicato alla scrittura, alla pittura o alla musica e poi, l’anno
scorso, se n’è uscito con un film nella rassegna Un Certain Regard di Cannes. Che film però! Guardiamo un po’ a
questo suo esordio: Antiviral, una pellicola che da sola spinge di molto in avanti
la rappresentazione cinematografica del grottesco, utilizzando un rigore
formale e un codice visivo pazzesco. Il cinema di Brandon Cronenberg possiede
prerogative originali pur dialogando con l’opera del padre sia in termini
concettuali sia direttamente, con la scelta di girare in Canada e fare della
splendida Sarah Gadon, già Elise
Shifrin in Cosmopolis, la sua musa, a
metà tra l’iperreale e il carnale più mefitico.
Antiviral è
ciò che rimane dopo che la società dello spettacolo ha fagocitato ogni aspetto
della realtà, un virus silente e implacabile che ha mutato i suoi connotati e
per il quale (se mai qualcuno l’avesse cercata) non c’è alcuna possibilità di
cura. Ciò che questo processo consegna è una comunità di umanotteri nevrotici,
cannibali ed estremamente soli, desiderosi della più intima connessione con la
celebrità del cuore. Si tratta di un legame non più basato sul desiderio
sessuale ma sulla condivisione della malattia, di virus, batteri e patogeni che
hanno albergato nel corpo della stella del cuore e che, depotenziati della
propria virulenza, sono loro iniettati da esperti del settore. Due cliniche, la
Lucas e la Vole & Tesser, due società si contendono l’Herpes simplex o l’ultimo influenzavirus avuto dalle celebrità per poi
rivenderlo agli umanotteri di cui sopra.