Se Il cavaliere oscuro (2008)
era stato per Batman il confronto con la follia nata dalla reazione alla
società dello spettacolo, perpetrata dalle menzogne stesso uomo pipistrello e
dall’integerrimo commissario Gordon, quest’ultimo capitolo della trilogia di Christopher Nolan, Il cavaliere oscuro – il ritorno
mostra gli effetti devastanti dell’ormai totalizzante spettacolarizzazione
della società occidentale (come la definirebbe il teorico ferino Bane), in
particolare della giustizia. Convinti di poter controllare la criminalità
attraverso bugie e un simbolo fittizio come Harvey Dent, Batman e Gordon non fanno
che mantenere lo status quo di classe,
ignari della reazione sociale – necessaria e naturale - che si profila all’orizzonte.
Mentre Bruce Wayne
(Christian Bale), impossibilitato a sublimare le sue ossessioni attraverso il
lattice nero e la spettacolarizzazione della giustizia (ragazzi, che scarica di
libido quando potrà tornare a farlo di nuovo!), vive rintanato in un ala della
villa di famiglia, a Gotham City (ormai lontanissima dal setting di cartapesta di burtoniana memoria) si sta raccogliendo,
nello strato metropolitano più basso e antiantropico delle fogne una nutrita
schiera di uomini sotto il pugno di Bane
(Tom Hardy), un supercriminale che sintetizza nella sua gigantesca figura
attitudine ferina e intellettuale. Bane è nei confronti della crisi sia teorico
sia risolutore, sa che in una società dove ogni aspetto della vita quotidiana
è spettacolo a beneficio del controllo di massa, l’unico modo per catturare
l’attenzione e portare a termini i propri obiettivi è indossare una maschera
per diventare un essere postumano, un concetto, un meme in grado di attecchire
e propagarsi d’individuo in individuo.