giovedì 29 marzo 2012

Inseparabili di David Cronenberg (1988)


Dopo aver indagato la possibilità di commistione fra carne e tecnologia, di fusione fra individui e categorie fisiche David Cronenberg sceglie di lavorare al soggetto di un film tratto dal libro Twins di Bari Wood e Jack Geasland. Il romanzo si presta benissimo allo sviluppo di alcuni temi interessanti per Cronenberg, tra cui il rapporto tra narcisismo e schizofrenia e il «motivo della scelta degli scrigni», entrambi indagati dal padre della psicoanalisi Sigmund Freud. Inseparabili (titolo inglese Dead ringers) fornisce a Cronenberg la possibilità di confrontarsi con avanguardistiche tecniche fotografiche come il motion control e lo split screen dissimulato, queste permettono allo stesso attore di interpretare due ruoli diversi nella stessa scena. I protagonisti del film sono due gemelli (dead ringers, uguali sputati) ma Cronenberg vuole annullare il più possibile la separazione fra i due soggetti scegliendo di farli interpretare dallo stesso attore, Jeremy Irons che in Inseparabili ottiene una delle performance migliori di tutta la sua carriera. L’idea centrale della pellicola è quella di un unico corpo (con-diviso dai due fratelli) amante di se stesso. I gemelli Mantle, ginecologi di grande successo, vivono in perfetta simbiosi, si completano nel lavoro – Beverly è votato alla tecnologia e alla ricerca mentre Elliot è più mondano, socievole e comunicativo – vivono insieme e hanno costruito un rapporto in cui le esperienze di entrambi sono condivise attraverso un uso totalizzante del dialogo (a un certo punto Elliot dirà a Beverly «non hai mai scopato con Claire Niveau se non ne parli con me!»).

martedì 27 marzo 2012

Per una lettura situazionista di Arancia Meccanica



La partecipazione alla puntata di Superga Cinema On Air dedicata a Stanley Kubrick e al suo capolavoro esemplare Arancia meccanica mi ha spinto a riflettere sulla natura Avant-Pop della pellicola ispirata all’omonimo romanzo di Anthony Burgess del 1962. Sono arrivato alla conclusione che Arancia meccanica può essere definita una pellicola Avant-Pop nella misura in cui essa è una pellicola situazionista. Il Manifesto di Mark Amerika cita Lettrismo e Situazionismo come movimenti fondanti, alla base dell’estetica Avant-Pop, «la nostra missione comune è quella di alterare radicalmente il fulcro della Cultura Pop attraverso un genere più popolare di gestualità dark, sexy e sottilmente ironica che nascerà dal lavoro di movimenti artistici come Fluxus, Situazionismo, Lettrismo, Neo Voodoismo.». Analizzando Arancia Meccanica nelle sue caratteristiche proprie e paracinematografiche credo sia possibile proporre una lettura situazionista della pellicola.
Innanzitutto l’anno di uscita di Arancia Meccanica è il 1971, a solo un anno dallo scioglimento del movimento situazionista, un movimento che aveva dato alla scena artistica, sociale e politica una nuova chiave interpretativa, una prospettiva che sembra essere stata metabolizzata e utilizzata da Kubrick per il suo film.

lunedì 26 marzo 2012

Crossover: quando X-Files diede un finale a Millennium


A pochi mesi dalla sua cancellazione il creatore e produttore Chris Carter ha tentato di offrire un finale accettabile a Millennium. Carter sceglie di farlo all’interno di un’altra sua serie di successo: X-Files. L’episodio crossover è il quarto della settima stagione e s’intitola proprio Millennium. Qui gli agenti Fox Mulder e Dana Scully indagando su alcuni casi di presunta negromanzia s’imbattono nel gruppo Millennium. Mancando materiale in merito (le attività del gruppo sono da sempre nascoste o edulcorate) i due contattano l'ex membro Frank Black. Questi, dopo un’iniziale riluttanza, aiuterà i due agenti dell’FBI a risolvere il caso.
Trovo molto interessante (e assai sfizioso) che il crossover tratti il materiale riguardante il gruppo Millennium come un vero e proprio «x-file». Da Mulder e Scully veniamo a sapere che il gruppo si è sciolto e che tutte le sue attività di consulenza per le forze dell’ordine sono state sospese. Secondo le informazioni recuperate da Scully a fermare le attività del gruppo Millennium è stato un “cavaliere solitario”, Frank Black appunto, che ha lasciato il gruppo dopo la morte della moglie Catherine causata da un virus manipolato dal gruppo stesso. Oggi Frank combatte per l’affidamento della figlia Jordan (che qui rivediamo nel consolatorio finale) e si è ricoverato in un istituto di sanità mentale, ma non può esimersi dall’aiutare Mulder e Scully nello svolgimento del loro caso.

venerdì 23 marzo 2012

MDNA di Madonna (2012)


di Lorenzo Peroni

La sindrome dell'allenatore della nazionale, come quella del capitano di bordo: gli italiani le hanno da tempo. Twitter poi ha portato queste patologie a livelli sempre più alti. Non che si voglia appoggiare l'opinione di Serra in merito, ma fa un po' sorridere come in questi giorni, a seguito dell'uscita del nuovo album di Madonna (MDNA), tutti si sentano posseduti dallo spirito della Venegoni. Il che, va detto, accadeva anche prima sui forum, di questo e quel cantante, a ogni nuova uscita. Oggi i forum però sono un po' morti, ma ci sono pur sempre i blogger. Anche quelli un po' moribondi (mai abbastanza), ma un paio (purtroppo) resistono e ovviamente non possono esimersi dal farci sapere le loro preziose e istantanee opinioni: normalmente dei pantani di cazzate. Insomma, per dire che in questi giorni Twitter e l'internet che ancora ha voce sembrano davvero infestati dallo spirito della Maionchi ed è un continuo «MDNA sì» e «MDNA no»: un'agonia. Pare che sia più un «MDNA sì» in verità, anche se pur sempre con qualche ma. MDNA sì, ma quella canzone dura troppo, e quella canzone non l'avrei messa, e quell'altra l'avrei messa dopo, però fantastica quell'altra, un vero colpo di genio quella lì, etc.

giovedì 22 marzo 2012

Millennium. La terza stagione: una scomparsa prematura


La terza stagione di Millennium (1998-1999) è stata un’operazione complessa non supportata dalla produzione e dal network Fox, che visto il drastico calo di ascolti (immane se si pensa al successo della prima stagione) ha deciso di cancellare prematuramente lo show, impedendogli così di avere un finale che si possa per lo meno definire accettabile. Sarà Chris Carter, produttore e ideatore della serie, a cercare una chiusura degli eventi attraverso la puntata crossover di X-Files intitolata proprio Millennium (7.04).
In quest’ultima stagione scopriamo che Frank Black, ancora provato per la scomparsa della moglie Catherine, è tornato a lavorare per l’FBI con l’intento di smascherare le reali e malevole intenzioni del gruppo Millennium. Al suo fianco una nuova figura femminile (dopo Catherine e Lara Means): Emma Hollis (Klea Scott) intuitiva, coraggiosa e giovane agente dell’FBI con un terribile trauma alle spalle. Emma, prima al fianco di Frank e poi in prima persona, inizierà a comprendere la portata delle terribili azioni del gruppo Millennium, un’organizzazione che va sempre più delineandosi come una setta millenarista sul modello di Aum Shinrikyo.  Una rete di individui impegnati su più fronti: scientifico (con sperimentazioni all’avanguardia), sociale, politico, antropologico e culturale, con lo scopo di provocare (e quindi controllare) un’Apocalisse che abbia i connotati descritti dai testi sacri dell’ebraismo, della cristianità e del buddismo. Il gruppo Millennium interpreta a suo modo le scritture ed esercita un controllo che pare assoluto e tentacolare, impossibile da rimuovere.
La vera forza di questa stagione è però la continua interpretazione degli eventi cui è chiamato lo spettatore. Come nel cinema di David Cronenberg l’affidabilità e l’attendibilità della visione sono messe continuamente in discussione, aumentando lo stato d’animo di terrore e straniamento. Dobbiamo credere alle visioni mefistofeliche di Frank? Ce ne sono state molte durante la seconda stagione e non mancheranno nemmeno questa volta. Tornerà Lucy Butler (con un progetto di demoniaca maternità), all’interno del gruppo troveremo il ferino Mabius e ci sarà pure posto per una strana famiglia amante delle fiamme e delle possessioni. Insomma, come di Johnny, il protagonista de La zona morta, anche di Frank Black non possiamo esser certi. Se il gruppo Millennium è una setta che costruisce situazioni ad hoc per condizionare le scelte di individui di cui ritiene di avere bisogno, cosa dobbiamo pensare delle visioni di Frank? Degli inviti che gli pervengono continuamente dalla Legione di Lucifero? Il finale all’interno di X-Files sembra dar ragione alla natura sovrannaturale degli eventi, ma non sarà mai possibile esserne totalmente certi.

martedì 20 marzo 2012

La mosca di David Cronenberg (1986)


David Cronenberg – dopo la parentesi kinghiana de La zona morta – torna a lavorare sulla poetica della «nuova carne» con La mosca. A questo punto il regista canadese ha definito il suo immaginario, allo stesso tempo dark e sexy, organico e mutante. La sua si conferma un’articolata riflessione sulla visione, su ciò che è possibile o meno percepire con l’occhio. Egli commistiona, attraverso tecniche biologico-cinematografiche, la sua riflessione sulla percezione visiva con i meccanismi d’intenzionalità e decisione, d’influenza e possibilità di scelta da parte dell’individuo e dell’umanità.
Cronenberg sceglie qui di lavorare al remake di un film di fantascienza del 1958 The Fly (conosciuto in Italia con il titolo L’esperimento del dottor K.) interpretato da Vincent Price. In realtà il remake è solo un pretesto per scarnificare la storia e riadattarla alle esigenze della sua poetica. I modelli sono qui riconoscibili: Frankenstein, o il moderno Prometeo di Mary Shelley, Edgar Allan Poe ma soprattutto l’H.P. Lovecraft dei racconti. Seth Brundle (interpretato da Jeff Goldblum) è uno scienziato dedito al suo lavoro, solitario, spinto dal desiderio di superare i limiti non solo dell’umano (come gli scienziati di Lovecraft, ossessionati dalla morte e dalle forme di oltre-vita) ma del reale tutto. Brundle vuole che la sua visione diventi modello di evoluzione per la società (iconica l'immagine di Brundle con in braccio un babbuino). Durante la sua mutazione (quando si ritrova a possedere forza e resistenza fuori dal comune) non rinuncerà a travisare le istanze positive della sua invenzione dichiarando di voler realizzare individui in grado di superare la finitezza umana.
Per Cronenberg mutazione vuol dire fusione. Lo abbiamo visto soprattutto nel finale apocalittico di Scanners, dove viene generato un nuovo individuo-sintesi dai due fratelli telepati, ma anche ne Il demone sotto la pelle e Rabid. Sete di sangue dove la mutazione era provocata dall’ingresso di un organismo estraneo nel corpo umano. Il concetto è ancora una volta centrale anche ne La mosca.

lunedì 19 marzo 2012

La zona morta di David Cronenberg (1983)


Che cosa spinse David Cronenberg ad accettare la proposta della produttrice Debra Hill nel 1983? Il regista canadese veniva dal successo iconico di una pellicola politica e profondamente cronenberghiana come Videodrome e la sceneggiatura che la Hill gli propose non solo era stata scritta da altri (Jeffrey Boam) ma era anche basata su uno dei romanzi più interessanti di Stephen King, La zona morta. La storia è poi ambientata nella provincia americana invece tutte le opere sin qui realizzate dal regista canadese propongono un’ambientazione metropolitana, postmoderna, tentacolare. Insomma quale illuminazione avrà convinto Cronenberg a lavorare al progetto? Dalle interviste, dalle brevi dichiarazioni in merito e soprattutto dalla visione della pellicola, è facile comprendere come Cronenberg sia stato soprattutto attratto dalla matrice politica della storia, dalla riflessione sui cambiamenti nei meccanismi di conquista del consenso in politica e dalla possibilità da parte dell’uomo comune di influenzare il destino sociale dell’umanità.

venerdì 16 marzo 2012

Lady Blue Shanghai di David Lynch (2010)

Il rapporto di David Lynch con i commercials, con la pubblicità, è sempre stato intenso, quasi un percorso parallelo all'Opera cinematografica istituzionale del maestro, ricorderete per esempio l’ultimo spot per la fragranza Gucci by Gucci sulle note di Heart of Glass dei Blondie, spot che qui in Italia ha avuto molto successo.
Lynch tornò alla pubblicità in gran spolvero grazie alla Maison Dior per la quale realizzò un meraviglioso cortometraggio ambientato in una Shanghai elettrica e romantica a metà fra le visioni di Murakami Haruki e il suo Velluto Blu. Il cortometraggio è stato realizzato in occasione della presentazione della collezione Resort di Dior a Shanghai nel 2010, collezione che - proprio per celebrare la collezione - vede tingersi di blu elettrico la borsa Lady Dior, vera e propria icona della Maison. Sarà proprio Lady Dior al centro della vicenda scritta e diretta da David Lynch con protagonista il premio Oscar Marion Cotillard. La Cotillard qui incarna una bellezza fragile e opalescente, alle prese con un ricordo mesmerizzato dal passato, un amore perduto e svanito sulla Pearl Tower – alla quale lo stesso Lynch ha dedicato la poesia che recita la Cotillard – tornato per donare bellezza attraverso Lady Dior, una borsa blu elettrico ritrovata nella camera d’albergo della protagonista.

Un piccolo capolavoro quello di Lynch che qui coniuga le sue istanze cinematografiche a un’attitudine prettamente commerciale raggiungendo una sintesi ricercata e immaginifica.

Il pasto nudo di David Cronenberg (1991)

Pellicola del 1991 Il pasto nudo di David Cronenberg vede il regista Avant-Pop e maggiore interprete del body horror scegliere di concentrarsi sull'esistenza (o meglio esistenze) dello scrittore William Seward Burroughs piuttosto che sul testo Pasto nudo pubblicato qui in Italia da Adelphi. In una magistrale interpretazione del cut-up – la tecnica narrativa secondo la quale l’autore (o gli autori) tagliano fisicamente il testo lasciando intatte solo alcune parole o frasi, per poi mischiarle in modo da ricomporre e dare vita a un nuovo testo – Cronenberg costruisce la pellicola recuperando alcune immaginifiche vicende accorse a William S. Burroughs traslandole sul suo protagonista William Lee (non a caso il primo pseudonimo adottato da Burroughs per la pubblicazione de La scimmia sulla schiena): uno sterminatore dipendente insieme alla moglie Joan Lee, dall'insetticida che utilizza. William inizierà presto a vivere di allucinazioni, visioni organiche e fisiologiche sotto forma di insetti parlanti (attraverso enormi sfinteri anali…) e umanoidi che lo indurranno a uccidere Joan giocando a “Guglielmo Tell”, proprio come accadde a Burroughs che uccise la moglie con una pistola cercando di mirare a un bicchiere di vetro posto sulla sua testa.

martedì 13 marzo 2012

Lunar Park di Bret Easton Ellis (2005)

di Marco Visinoni

Lunar Park è un oggetto estraneo nel percorso letterario di Bret Easton Ellis. Come se la sua decappottabile insanguinata, spinta al culmine dei giri dall’apocalittico Glamorama, fosse andata a schiantarsi contro il disperato STOP urlato da Roger Waters in The Wall. Lo dice Bret stesso in apertura: Lunar Park è un ritorno. A uno stile più pulito (basta incipit interminabili per costringere il lettore nel vortice); alle origini minimaliste, quelle da cui sempre più violentemente l’autore si era distaccato con l’omicida-o-forse-no di American Psycho prima, con i fashion terroristi del suddetto Glamorama poi. Ritorno a parlare di me e lo faccio nel modo più veritiero possibile. Nomi e cognomi reali, ambienti reali. Situazioni riconoscibili. Ecco a voi il vero Bret.
Il primo capitolo è un romanzo nel romanzo: Ellis ripercorre la sua scintillante carriera, dal successo inatteso di Meno di zero alla tournée autodistruttiva per promuovere Glamorama, quando un addetto alla sicurezza era incaricato di irrompere in ogni bagno nel quale lo scrittore – schiavo della droga e a rischio costante di suicidio - si intrattenesse per più di cinque minuti. Superato (quasi indenne) il passato, c’è un presente nel quale Ellis vive con una donna e due figli, uno dei quali avuto da lei anni prima e anni prima rifiutato vigliaccamente. Un Ellis che prova a tirare dritto tra corsi di scrittura creativa, tentativi di stabilità e distacco dalle droghe. Prova, perché niente funziona… e come potrebbe la staticità borghese sposarsi all'eterno bad boy della letteratura americana? Tutto precipita, più Ellis torna al passato più il passato torna da Ellis, con il fantasma del padre che lo tormenta, tra rapimenti-o-forse-no di bambini schiavi degli antidepressivi e mostri orripilanti che turbano la quiete di una provincia americana che quieta non è. Ma terrificante. Lynchana.

lunedì 12 marzo 2012

Videodrome di David Cronenberg (1982)


Con Videodrome David Cronenberg realizza la sua opera più completa, immaginifica e pienamente iconica.  L’operazione compiuta è assai raffinata e ha reso la pellicola un feticcio cinematografico amato e venerato da un vasto fandom (che non manca di rimproverare al “nuovo” Cronenberg di aver abbandonato la poetica weird della carne e della sua commistione con la tecnologia).
In Videodrome Cronenberg muove dalle teorie di Marshall McLuhan - Il massmediologo e sociologo canadese (come Cronenberg) che meglio di tutti ha messo a fuoco le potenzialità dei media e della tecnologia a essi associata - in particolar modo quelle riguardanti gli effetti della televisione e il rapporto tra individualità, media e tecnologie. Cronenberg coniuga le riflessioni di McLuhan (materializzato in parte nella figura del professor O’Blivion) con la sua visione cinematografica basata sul rapporto di entrata-uscita, un cinema che dai tempi di Stereo sappiamo essere fatto di ingressi, porte, penetrazioni. Per il protagonista, il disincantato e sempre più ossessionato Max Renn (James Woods), questo significherà farsi strumento, mezzo (e quindi messaggio) e perdere la propria individualità e corporeità.

venerdì 9 marzo 2012

Le 13 cose di Alessandro Turati (2012)


Esce per NEO. Edizoni un nuovo volume, un romanzo (almeno da quello che recita la copertina) di un giovane autore Alessandro Turati. Il volume ha come titolo Le 13 cose e durante la lettura mi ha fatto letteralmente saltare sulla sedia. Da tempo mi interrogo sull’eventualità (plausibile? Impossibile?) di un percorso, una linea di sperimentazione legata all’Avant-Pop in Italia. Alessandro Turati, esordiente, mi fa ben sperare.
Le 13 cose è certamente un romanzo, ma derivatizzato, nato da un brodo post-requiem in cui si sono diluiti la tradizione emozionale della narrativa giovanilistica, l’utilizzo armato e terroristico di scelte stilistiche e oggetti culturali e la narrazione in prima persona della letteratura mainstream. Le 13 cose possiede un ritmo sincopato, uno stile paratattico creato ad hoc per provocare nel lettore – attraverso vere e proprie «piroette verbali» - una sensazione di claustrofobia che già dalle prime pagine avvertiamo deflagrante e piena di possibili, infinite soluzioni. I personaggi sono contenitori/erogatori di immaginari personali franti, interscambiabili, ricostruibili più volte per creare sempre nuove narrazioni. Quest’operazione induce nell’autore e nel lettore la proposizione dada di narrazioni altre, limitrofe, contenute nel flusso concitato di quella maggiore, che di contro si allunga, si ampia e si espande, si gonfia e si edulcora.

mercoledì 7 marzo 2012

Imperial Bedrooms di Bret Easton Ellis (2010)

Imperial Bedrooms – lo sappiamo tutti – è il seguito di Meno di Zero (1985) ma può essere letto in maniera più ampia come la chiusura ideale di tutta l’Opera di Bret Easton EllisImperial Bedrooms – dopo Less than zero altra citazione da Elvis Costello – possiede tutte le caratteristiche e peculiarità dei romanzi precedenti di Bret Easton Ellis, in particolar modo degli ultimi: Lunar Park, American Psycho e Glamorama. Secondo il principio dell’intercambiabilità degli individui possiamo riconoscere in Clay gli stessi segni del tempo che troveremmo sul volto di Victor Ward e Patrick Bateman, nonché di Ellis stesso, non a caso citato da Clay nell’incipit metaletterario che racconta dell’uscita di Meno di zero («Su di noi avevano fatto un film. Il film era tratto da un libro scritto da una persona che conoscevamo.») e della sua terribile riduzione cinematografica con Robert Downey Jr.
I rituali di morte dei modelli-terroristi di Glamorama e le abominevoli sessioni di feticismo e sadismo organico di Patrick Bateman tornano qui per tormentare la lisa esistenza di Clay che all’inizio del romanzo ri-torna a Los Angeles da New York (ricorderete che in Meno di zero tornava invece da Camden) per ritrovare i corpi dei propri amici, amanti e conoscenti degradati dall'espressionismo chirurgico («Lì per lì non lo riconosco. Ha un volto artificialmente liscio, rifatto in modo tale da avere gli occhi strabuzzati in un’aria di perenne sorpresa; è solo la brutta copia di un volto, e pare straziato») o dolcemente stemperati nella placenta di una maturità borghese all'insegna del compromesso.

martedì 6 marzo 2012

Meno di zero di Bret Easton Ellis (1985)


L’intertestualità ha sempre avuto una grande importanza nell’Opera narrativa di Bret Easton Ellis. Molti dei suoi personaggi – secondo la logica dell'intercambiabilità degli individui – si affacciano da una storia all’altra per mostrare nuove – a volte molto sottili – caratteristiche della propria esistenza. Non sfugge a questa logica nemmeno Clay il protagonista di Meno di zero - primo romanzo di Bret Easton Ellis – che ritroveremo in Le regole dell’attrazione dove viene descritto dai protagonisti Lauren, Paul e Sean come il «ragazzo di L.A.» sempre in bermuda e occhiali da sole.
In Meno di zero (titolo da un brano cult di Elvis Costello) Clay torna da Camden a Los Angeles dove riallaccia i rapporti con la fidanzata storica Blair e con la nutrita fauna di amici – abbronzati, sconvolti e bellissimi – lasciati ad arrostire sulle spiagge della California. Tra di essi spicca Julian, il miglior amico di Clay, (su cui è incentrata la riduzione cinematografica scult del romanzo con Robert Downey Jr.) costretto a prostituirsi per pagarsi le anelate dosi di eroina.
 Bret Easton Ellis mette qui in scena quello che Sontag ha teorizzato nel suo saggio Davanti al dolore degli altri, gli appetiti visivi degli amici di Clay e Blair sono infatti sintomatici di un’esistenza attutita e atrofizzata nel confronto col dolore. Solo i due protagonisti rimangono sconvolti dall’atteggiamento degli amici intenti a trasmettere uno snuff movie durante un party o a osservare e fotografare la loro amica Muriel - anoressica in riabilitazione - mentre si inietta l’eroina nel braccio piangendo, o ancora davanti alla processione per guardare il cadavere di una dodicenne nuda sul letto di Rip. L’obnubilazione (che impedisce a Clay di riconoscere pure le sorelle minori), la sdrucita ed elegante afasia che rende i corpi dei giovani protagonisti così desiderabili è un effetto estremizzante. In Meno di zero siamo appunto all’estremo: Clay, Blair, Julian, Rip, Alana e gli altri possiedono tutto, vanno a letto con chiunque e censurano i propri desideri a favore di una superficie rassicurante e attraente. La superficie, materia prima del Minimalismo di Ellis, non è ancora una Vergine di Norimberga in cui costringere la propria natura come in American Psycho o Glamorama, è ancora una scelta, una coperta di Linus cangiante con cui affrontare l’orrore – che qui è sempre altro da sé, un miraggio nel deserto, come il non luogo Palm Springs – fino all'eventuale salvezza finale (che già si perderà nel paragrafo conclusivo amputato de Le regole dell’attrazione): lasciare Los Angeles sperando di non tornarci mai più.

Glamorama di Bret Easton Ellis (1998)


Glamorama romanzo di culto di Bret Easton Ellis uscito nel 1998 e ambientato nella metà degli anni Novanta è una mastodontica produzione (563 pagine), dalla lunga gestazione che ha ormai assunto un valore storico-letterario di prim’ordine. Glamorama ci presenta un vortice iper-saturo, al cui centro troviamo il cover-boy Victor Ward, un modello dalla rampante carriera mediatica troppo preso dal proprio self per accorgersi degli oscuri e orribili eventi che si muovono dietro le quinte di cartapesta della sua esistenza. Con sapiente approccio surrealista Bret Easton Ellis mette in scena un lungo viaggio, una fuga-pretesto narrata in prima persona cosicché la visione io-centrica di Victor restituisca al lettore gli eventi come distorti, privi di connotati definiti in un'articolata visione Avant-Pop. Seguire Victor in Europa, tra Londra e Parigi, città che topograficamente offrono luoghi di consumo che ne sottolineano il legame culturale con gli U.S.A. (dai negozi GAP ai club, alle abitazioni scelte dai personaggi), rappresenta un delirante percorso che stringerà il cappio intorno al collo di Victor rendendolo vittima e complice di una folle organizzazione criminale e terroristica messa su da un gruppo di top-model senza scrupoli.
 Gli scenari costruiti intorno alle esplosioni delle bombe, l’attenzione per l’organico e la mutilazione sembrano prevedere il desiderio patinato dei media nei confronti di questo tipo di eventi (11/09 su tutti). Realtà e finzione collimano nel punto di vista di Victor che convinto di stare per girare il film che lo consacrerà al grande pubblico, obnubila ogni dettaglio “fuori campo” attraverso massicce dosi di tranquillanti e droghe sintetiche.

American Psycho di Bret Easton Ellis (1991)


A distanza di un ventennio American Psycho – romanzo imprescindibile firmato da Bret Easton Ellis – si conferma paradigma esemplare nella rappresentazione della contemporanea alienazione e della relativa obnubilazione provocata dalle merci. Già nel 1991 il maestro del minimalismo – ispirato da Babbit, romanzo degli anni Venti firmato da Sinclair Lewis - mette in scena  una impressionante «vertigine della lista» attraverso un ritmo, uno sciorinare perpetuo (e per questo rassicurante) di marchi, oggetti, designer, negozi, palestre alla moda e ristoranti, tra cui spicca il Dorsia, meta superiore e inaccessibile,  paradiso artificiale negato. Bret Easton Ellis aveva già rappresentato il decennio degli anni Ottanta nei suoi precedenti lavori Acqua dal Sole e Meno di zero, con questo volume ritorna a lavoro per la rappresentazione della costellazione culturale del nuovo decennio. Cambiano attitudini e istanze: la diluizione dell’individuo nell'universo mercificato stavolta è la sacca placentare che lo accoglie per accrescerne gli appetiti ferini più bassi e sconcertanti.
Il protagonista Patrick Bateman è un novello uomo del sottosuolo (come per l’eroe di Dostoevskij ogni sua affermazione va presa come verità relativa e mai assoluta), ha tutto: bellezza, denaro, successo, ma è soprattutto angosciato a causa di una realtà con cui crede di aver contratto un debito (forse dovuto al padre che già incontrammo moribondo in Le regole dell'attrazione). Pat-il-Grinch scivola sulla superficie come un idrocarburo a basso peso molecolare sull’acqua, manifesta raramente la sua vera natura se non fra le quattro mura di casa e le volte che essa sconfina all’aperto la visione precipita rapidamente in un delirio mitomane che per il lettore significa il passaggio improvviso alla terza persona singolare per tornare poi alla prima persona o in alternativa interrompere bruscamente il paragrafo.