domenica 17 maggio 2015

Mad Max: Fury Road l’action movie definitivo e lo sguardo di genere



Visionario, messianico, inaspettato, lanciato alla massima velocità in una nuvola di ocra e carminio, ecco cos’è Mad Max: Fury Road, pantagruelico progetto di George Miller che riporta dopo trent’anni sul grande schermo Max Rockatansky e con lui l’immaginario impazzito e post apocalittico che ha fatto scuola per tanto cinema a venire.
Mad Max: Fury Road non è un mero reboot che vive dell’afflato nostalgico dei vecchi fan della saga ma un aggiornamento dell’immaginario che propone. Un’operazione che oggi possiamo ammirare sul grande schermo come estrema e meravigliosa, sia sotto il punto di vista della scrittura sia della regia. Se l’obiettivo era di portare nuovi spettatori ad appassionarsi al mondo «ucciso» e dissennato di Mad Max, possiamo definirlo ampiamente raggiunto.
Le tragedie e i morti delle pellicole precedenti oggi si manifestano intorno a Max –interpretato per la prima volta da Tom Hardy - come pericolose allucinazioni sempre pronte a ossessionarlo durante il suo cammino. Il Max di Fury Road possiede le caratteristiche mostrate per la prima volta in Il guerriero della strada: un uomo che ha rinunciato alla sua umanità, trincerato dietro il bieco opportunismo con l’unico obiettivo di continuare a vivere e quindi a muoversi sulla strada.

La scrittrice e femminista Eve Ensler.
Una sequenza iniziale a velocità accelerata ci introduce al nuovo tassello nell’universo della saga di Mad Max: il tiranno Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne che aveva già interpretato Toecutter in Interceptor), un essere fisicamente deturpato dalla «morte del mondo» - i cui effetti abbiamo conosciuto nei film precedenti - che governa la Cittadella, dove possiede una sorgente di acqua pura, coltivazioni e un esercito di esseri «emivitali», i «figli di guerra», anemici e afflitti da diverse neoplasie. Immortan Joe governa il territorio tramite l’asse con altre due città Gas Town e Bullet Farm, tenute dai suoi due orridi fratelli, altrettanto deturpati fisicamente oltre che nella psiche.
La grande forza di Mad Max: Fury Road sta nel proporsi come una lisergica epopea in cui s’incontrano, vorticando fra le sabbie della Namibia (anche se sappiamo che il territorio in cui si muove Max è l’Australia, catalogando il film nel genere ozploitation), linguaggio epico, un immaginario distopico folle e ipersaturo (a rompere il canone del cinema postapocalittico che vuole pellicole desaturate), attitudine rock e, per la prima volta una genuina rappresentazione di genere grazie al meraviglioso personaggio di Imperator Furiosa, interpretato con delicatezza emotiva e strenua forza fisica dalla sovrannaturale Charlize Theron. Non stupisce che George Miller abbia chiesto alla scrittrice e femminista Eve Ensler di contribuire alla definizione dei personaggi femminili. Il risultato è straordinario: all’interno di un film accelerato e reboante, in cui la stesura dello storyboard ha preceduto la scrittura della sceneggiatura, è possibile recuperare la profondità dello sguardo femminile e una preziosa riflessione di genere. Quel «non siamo oggetti, non puoi possederci» che diventa universale, la maternità, la fragilità, il coraggio, la storia d’amore – delicatissima e ad alto tasso emozionale come quella fra il figlio di guerra Nux (Nicholas Hoult, che finisce per rubare l’attenzione al protagonista) e la rossa Capable (Riley Keough) – la fuga e il desiderio di rinascita che ritroviamo nel clan delle Molte Madri.  

Nota finale, a completare la straordinaria natura cinematografica di Mad Max: Fury Road abbiamo l’uso limitatissimo della CGI (computer-generated imagery), quantificata da IMDb intorno al 20% e relegata alla resa del braccio amputato di Furiosa e ad accrescere visivamente il paesaggio, già mozzafiato, della Namibia. Effetti pratici, stunt performer e trucco (notare le scarificazioni dei figli di guerra) rendono più realistiche persino le scene più folli e gli inseguimenti più coreografici e mozzafiato.


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