Una magione che sprofonda su un
giacimento di argilla rossa come sangue, al centro di una tenuta aspra e
inospitale dove vento e umidità animano spifferi e cigolii. Al suo interno si
muove una «vergine perseguitata», con l’orlo della camicia da notte che
accarezza le assi tarlate del pavimento, i capelli che si aprono come ali
nella corsa e le mani bianche che frugano in armadi intarsiati, sotto enormi
poltrone di broccato, alla ricerca delle più scellerate risposte. È questa la
prospettiva scelta dall’«ospite ingrato» del cinema hollywoodiano, Guillermo del Toro, per il suo ultimo
lungometraggio Crimson Peak.
Guillermo del Toro non sceglie solo l’immaginario
gotico ma lo sposa, omaggiandolo nei suoi intenti originari. In Crimson Peak ritroviamo la comunione,
alla base del romanzo gotico settecentesco, fra elementi romantici e
attitudine all’orrore. Il film è un percorso verticale – come quello che vede i
protagonisti muoversi fra i piani della grottesca magione di Allerdale Hall – nella
tradizione gotica tutta.