sabato 26 ottobre 2013

Kill Bill di Quentin Tarantino (2003-2004)


[Avvertenze: questo intervento non contiene il termine «postmoderno»]. 

Il quarto progetto cinematografico di Quentin Tarantino, Kill Bill (diviso nei due volumi 1 e 2), ha avuto per il cinema a-venire (a occhio e croce fino all'uscita di Bastardi senza gloria) un valore didattico di immane portata. Non si parla solo degli stilemi riproducibili (e riprodotti) fino al logorio (nel cinema quanto nella narrativa) ma del valore intrinseco della pellicola, una sorta di energia potenziale-immaginifica in grado di aprire la visione dello spettatore sia orizzontalmente (leggi geograficamente) che verticalmente (stili, registri, immaginari intercambiabili).

Molti di voi staranno cercando nel paragrafo precedente le parole: «citazione» e «intertestualità» per cui meglio dedicare a ognuna di loro altrettanto spazio.

La citazione: una delle attività principali con cui i fan e i cineasti amano dilettarsi è la ricerca delle decine e decine di citazioni/omaggi ri-elabotate da Tarantino nel raccono, meglio, nei racconti di cui è costruita l’epica della Sposa. Si tratta di citazioni formali, contenutistiche e musicali che spaziano dallo spaghetti-western più zozzo alle taglienti pellicole giapponesi come Lady Snowblood (lo scheletro, l’impalcatura, di Kill Bill è stata plasmata sui questa meravigliosa pellicola di Fujita Toshiya) passando per il kung-fu anni Sessanta/Settanta, la serialità e il cinema d’autore (Kubrick, Coppola). 
Quentin Tarantino, cinefilo-flanuer dall'appetito infinito si nutre (e ci nutre) di frammenti e passages di celluloide con cui plasmare nuovi e inediti racconti.

L’intertestualità: Dal soggetto di Q&U (Quentin e Uma) le vicende della Sposa sono suddivise in capitoli che non rispettano la cronologia degli eventi ma che si richiamano, legano e completano fra loro nell'intreccio scientemente intertestuale. Personaggi, intenzioni, background, oggetti e paesaggi si decompongono e ricostruiscono continuamente donando allo spettatore un’esperienza lisergica e avant-pop nella sua accezione più orizzontale e geografica: dal Messico al Giappone di O-Ren, dallo sconfinato orizzonte della California visto dai vetri lerci della roulotte di Budd al Brasile pop del finale. Come detto abbiamo richiami di tipo formale, ad esempio l’anime giapponese o il black’n white, sottili ed eleganti riferimenti al cinema altrui come il Twisted Nerve di Bernard Herrmann quanto al proprio: le sigarette Red Apple, la squadra DVAS come le Volpi forza 5 di Pulp Fiction o il motivetto che si sente ne Le Iene quando Mr. Blonde accende la radio prima di torturare il poliziotto riproposto all'inizio di Kill Bill vol. 2.

giovedì 3 ottobre 2013

Genoismo e rivincita del fenotipo: Gattaca di Andrew Niccol (1997)

Un futuro il cui aspetto si gioca sui toni dell’oro, del rame e del verde, dove lo stile, le auto, le ambientazioni richiamano l’immaginario del noir più classico. Un futuro dove il genoma è l’occhio del Grande Fratello attraverso cui plasmare la società.
È il codice genetico che in Gattaca (il cui titolo è formato dalle lettere che identificano le basi azotate di cui è formato il genoma: adenina, timina, citosina e guanina) è sintetizzato prima del concepimento del nascituro donandogli caratteristiche e peculiarità, esonerandolo da patologie e tare fisiche. La società totalitaria di Gattaca è rigida e continuamente sotto controllo diagnostico, i colloqui di lavoro si risolvono in analisi del sangue e delle urine e i «non validi» – individui concepiti naturalmente, senza l’ausilio dell’ingegneria genetica – hanno un destino segnato: svolgere i lavori più umili. Si tratta di «genoismo», una forma di razzismo in base alla costituzione della doppia elica di DNA, quello che in Gattaca è chiamato «quoziente genico».
Gattaca, l’ente astronomico impegnato nell’organizzare missioni spaziali è anche il luogo in cui si consuma il tentativo del non valido Vincent (Ethan Hawke) di diventare astronauta mentre fra le scrivanie perfette e tutte uguali del complesso astronomico si consuma un feroce delitto. Al suo fianco un atleta paraplegico, Jerome Eugene Morrow, che ha il volto umbratile e lo sguardo tagliente di Jude Law, Irene Cassini (dal nome dell’astronomo italiano Giovanni Domenico), un’inarrivabile Uma Thurman e Gore Vidal nei panni del mellifluo direttore Josef.