domenica 28 dicembre 2014

Beetlejuice di Tim Burton (1988)



Da dove è partito il giovane e malinconico Tim Burton? Qual è stata la coagulazione di immaginari che l’hanno portato a creare la sua visione – dolce, delicata e umoristica - del nero e dell’orrore che oggi, reiterata, inizia a mostrare i segni del tempo?
Bisogna ritornare alla fine degli anni Ottanta, quando, trentenne, affrontava la sua prima e compita opera (forte dell’esperienza avventurosa di Pee Wee e dei primi corti): Beetlejuice.  È qui che Burton libera tutte le sue energie creative nel modo più naturale, spassoso e sopra le righe possibile, esorcizzando la morte in modo del tutto americano: posticcio, plastico, godereccio, comico e cartoonista.
In Beetlejuice, al centro della vicenda troviamo una casa. Attenzione però, non una dimora qualunque ma la riedizione fine anni Ottanta di un’abitazione in stile Carpenter Gothic, un identificativo riferimento all’immaginario gotico americano che poi diventerà cardinale nella visione di Tim Burton. Grazie alla dimora dei defunti Maitland, Beetlejuice diventa un'irriverente e spassosa rilettura dell’Antologia di Spoon River, in cui gli spiriti sono una coppia d’ignari e giovani innamorati – con i quali Burton si diverte a citare l’American Gothic di Grant Wood – alle prese con le dinamiche burocratiche del regno dei morti. Dinamiche che scopriamo essere ben più fastidiose di quelle del mondo dei vivi.

sabato 20 dicembre 2014

White Bird in a Blizzard di Gregg Araki (2014)



«Qui siamo dalle parti dell’oggetto erotico di quarto tipo. Sguardo “omosex”, fisicità “etero”, svenevolezze “queer”, re-mixate al ritmo da coroner del “Dopobomba” degli Slowdive». Roberto Silvestri.

Con queste parole di Silvestri su Doom Generation il Contenebbia Andrea Bruni chiudeva uno dei suoi pezzi più belli: una prospettiva su Gregg Araki per il leggendario dossier di «Nocturno Magazine» Quei bravi ragazzi. Parole che mi sono tornate rapide alla mente dopo la visione di White Bird in a Blizzard. Qui Araki torna nella zona suburbana per celebrare alcune delle ossessioni che più hanno influenzato il suo cinema: il confronto con le regole e le suggestioni del mélo (già terreno di confronto per John Waters, David Lynch e Todd Haynes), la bellezza iconica di certo porno, la soap opera, il teen drama e, dichiaratamente, la performance di Sheryl Lee in Fuoco cammina con me.
Con White Bird in a Blizzard ci troviamo di fronte a un oggetto cinematografico liminale, i cui contorni sfumano in una tempesta di neve, con protagonisti che assumono l’aura e l’irresistibile bellezza dell’icona, personaggi i cui tratti sono la commistione, la ricombinazione, di diversi immaginari, compresi quelli creati da Araki stesso. Pensiamo al personaggio di Kat, il cui look è basato su quello adottato da Winona Ryder alla fine degli anni Ottanta, Gabourey Sidibe che cita la Rose McGowan di Doom Generation (inizio sequenza del party goth) e Mark Indelicato che ci riporta a Totally Fucked Up in un intercalare, la capacità di seppellire i segreti e capitare "per caso" nei giardini altrui di Peyton Place, il look à la Ray Harley di Christopher Meloni, l’impostazione lynchiana in cui la superficie mainstream è data a sapide e posticce pennellate (realizzazione di un finale compreso).

lunedì 15 dicembre 2014

Intanto: Horns di Alexandre Aja su ArtsLife

Oggi insieme a Lorenzo Peroni su ArtsLife per parlare dell'incontro fra il rivoluzionario dello slasher Alexandre Aja e il neo sexy weird Daniel Jacob Radcliffe. Batticuori assicurati.

[ Cliccare sul faccino di Daniel Radcliffe in visita medica per raggiungere il post]

http://onlyrecensionitoplaywith.blogspot.it/2014/11/alta-tensione-di-alexandre-aja-2003.html

domenica 14 dicembre 2014

Alice in Wonderland di Lewis Carroll

Presente per tutto il Novecento in una miriade di testi, rivisitazioni, saggi e riduzioni cinematografiche Alice ha da sempre rappresentato una delle schegge di cultura letteraria preferite dagli artisti Avant-Pop. I due romanzi che hanno come protagonista Alice sono: Alice nel paese delle meraviglie (1865, edizione consigliata: Feltrinelli con traduzione di Aldo Busi e testo originale a fronte) e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (1871). Con essi Lewis Carroll da vita a un personaggio inedito e rivoluzionario diventato nei decenni simbolo surrealista, femminista, postomodernista, feticcio della sociologia quanto della scienza (sfiziosissimo il volume Alice in Quantum Land di Robert Gilmore). Alice rompe il canone vittoriano che voleva una rappresentazione dell’infanzia come malaticcia, sottomessa a qualunque angheria, catalizzatore dell’accanimento mortuario attraverso pagine e pagine di sadiche e patetiche descrizioni di corpicini battuti e martoriati sotto ogni punto di vista. La piccola e petulante Alice, seppur goffamente, non risparmia alcuna risposta agli attacchi verbali dei suoi interlocutori, è curiosa, naturale nei suoi sfoghi di pianto, non si sottomette né agli sberleffi linguistici del Bruco né al cospetto della Regina Rossa e della sua corte di matti. Alice a dispetto della tradizione non è un esempio didascalico intriso di morale è bensì vitale, irriverente e coraggiosa. Si può ben affermare che tutte le bambine della letteratura venute dopo discendono da lei, pensiamo ad esempio alla Dorothy de Il Mago di Oz di Frank Baum o a Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren.
Il gioco linguistico, il motto, la filastrocca sono un’altra caratteristica esemplare della scrittura di Lewis Carroll/Charles Lutwige Dodgoson (questo il suo vero nome) che come sappiamo si divideva continuamente tra due identità: lo scrittore e fotografo dagli oscuri appetiti e il matematico e uomo di chiesa dedito alla scrittura di saggi e manuali scientifici. Il Nostro teneva a mantenere le due identità separate (si dice che fosse solito rimandare indignato al mittente le lettere indirizzate a Lewis Carroll, Christ Church College, Oxford) ma, come inevitabile, parte degli schemi mentali del lavoro scientifico di Dodgson hanno permeato la scrittura di Carroll, manifestandosi nel delirante e deliziosamente surreale gioco linguistico cui è sottoposta Alice nei suoi incontri sottoterra. Pensiamo alle elucubrazioni identitarie e metaforiche del Bruco, alle filastrocche di Pinco Panco e Panco Pinco, al té coi matti e infine al processo finale alla corte della Regina Rossa. Una più matura e sorprendentemente smart Alice saprà confrontarsi meglio con tale meccanismo nel secondo volume di Carroll Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò dove la storia appare più simettrica (come in una scacchiera, of course) e possiede una maggiore attitudine matematica.

In definitiva due testi cardine e archetipo di tanta cultura pop, straordinario esempio della potenza immaginifica e creativa della letteratura.

sabato 6 dicembre 2014

Smiley Face di Gregg Araki (2007)



Dopo aver raggiunto il grande pubblico con quell’oggetto delicato, umbratile e opalescente che è Mysterious Skin, Gregg Araki lascia la zona suburbana e gli orrori che i suoi steccati bianchi celano alla vista per tornare nell’affollata e bidimensionale Los Angeles e concedersi un giro sulla ruota panoramica con Smiley Face. Il giro parte e ci coglie di sorpresa mentre la voce del doppiatore Roscoe Lee Browne risuona per l’ultima volta nell’àere di una mattina assolata, per noi nullafacenti e biondi come la protagonista Jane F. (Anna Faris, la cui mimica è un puro distillato di empatia) è persino accecante. Inizia così il vorticoso tour, il percorso al cardiopalma, che ci porterà a una lucida, spassosa, iconica, e neanche a dirlo, disatrosa rappresentazione della generazione che vive sul ciglio della crisi economica del 2008.
Sul divano di un appartamento condiviso con un nerd agghiacciante (Danny Masterson che nelle visioni allucinate di Jane F. si scopa un teschio), mentre aspetta l’assegno dei genitori e il sussidio di disoccupazione la nostra eroina, in preda alla fame chimica si pappa tutti i cupcake che Steve aveva preparato con la marijuana per una convention di fantascienza. La sua sarà la fine di un’Alice in un paese delle meraviglie fatto di danni e allucinazioni. Le avventure e le visioni di Jane F. durante il suo peregrinare permettono ad Araki di riversare in Smiley Face una cornucopia di stili e registri, giustapposti, commissionati fra loro, schegge che dal tornando Avant-Pop brillano fra le nuvole posticce che Jane F. disegna col dito: La fabbrica delle mogli di Ira Levin, Second Life, il teen drama (Adam Brody sotto una cascata di dreadlock posticci e JohnKrasinski con gli occhiali che furono di Brady Corbet in Mysterious Skin che si masturba sotto la doccia come James Duval in Nowhere), la Reaganomics applicata al mercato degli stupefacenti e il marxismo ai tempi del «No Logo», la fiaba, Carrot Top e ancora le pettegole di Mondo Trasho sui bus di Los Angeles, un casting gestito da Jane Lynch, una copia del Manifesto del partito comunista fra le mani di Marion Ross e Danny Trejo tranquillo dipendente di un’azienda di carni macinate… su tutto questo si dilata l’impossibilità di elaborare, definire e comunicare di Jane F.

Se vi state chiedendo cosa fare dopo aver consegnato al mondo il vostro capolavoro, potreste provare con la scelta di Gregg Araki, un giro sulla ruota panoramica in compagnia di un sacchetto di erba buona e una penna per scribacchiare i vostri piani futuri sulle pagine del Manifesto di Marx e Engels.