domenica 28 dicembre 2014

Beetlejuice di Tim Burton (1988)



Da dove è partito il giovane e malinconico Tim Burton? Qual è stata la coagulazione di immaginari che l’hanno portato a creare la sua visione – dolce, delicata e umoristica - del nero e dell’orrore che oggi, reiterata, inizia a mostrare i segni del tempo?
Bisogna ritornare alla fine degli anni Ottanta, quando, trentenne, affrontava la sua prima e compita opera (forte dell’esperienza avventurosa di Pee Wee e dei primi corti): Beetlejuice.  È qui che Burton libera tutte le sue energie creative nel modo più naturale, spassoso e sopra le righe possibile, esorcizzando la morte in modo del tutto americano: posticcio, plastico, godereccio, comico e cartoonista.
In Beetlejuice, al centro della vicenda troviamo una casa. Attenzione però, non una dimora qualunque ma la riedizione fine anni Ottanta di un’abitazione in stile Carpenter Gothic, un identificativo riferimento all’immaginario gotico americano che poi diventerà cardinale nella visione di Tim Burton. Grazie alla dimora dei defunti Maitland, Beetlejuice diventa un'irriverente e spassosa rilettura dell’Antologia di Spoon River, in cui gli spiriti sono una coppia d’ignari e giovani innamorati – con i quali Burton si diverte a citare l’American Gothic di Grant Wood – alle prese con le dinamiche burocratiche del regno dei morti. Dinamiche che scopriamo essere ben più fastidiose di quelle del mondo dei vivi.

Winona, icona dark di fine anni Ottanta.
Una visione aerea della zona suburbana ci accoglie a inizio film, anticipando le vicende à la Peyton Place che saranno poi di Edward mani di forbice (in cui la zona residenziale è sovrastata da un oscuro maniero). Visione che qui si coagula nell’unità di luogo dell’abitazione dei Maitland, trasformata in fulcro fisico di tre diverse realtà: il mondo dei vivi, il folle e posticcio aldilà e il metafisico «altroverso» in cui – in una libera citazione di Dune – un deserto di sabbia è attraversato da enormi vermi in stop motion.
In Beetlejuice i più spassosi istinti arty di Tim Burton prendono forma in quella che è una vera e propria casa stregata: mostruose sculture si animano per partecipare a osceni matrimoni, pavimenti trompe-l'œil, porte disegnate in soffitta che conducono ad affollate sale d’attesa dove i morti attendono di conoscere il loro destino (e i suicidi finiscono a fare gli impiegati statali), diorami abitati da bio-esorcisti imbonitori e sboccati. Il tutto a favore di una visione libera e per questo assai divertente.
Fra sedute spiritiche a tema calypso, il Manuale del novello deceduto e apparizioni in lenzuola da trecento dollari impareremo ad amare ogni singolo protagonista di questa storia. Dai Maitland del Gotico Americano di partenza: Alec Baldwin e Geena Davis a Winona Ryder, il cui look dark segnerà in maniera indelebile l’immaginario di fine anni Ottanta, passando per lui, Beetlejuice, Beetlejuice… Beetlejuice! Il bio-esorcista più sordido e sconcio che questo e quell’altro mondo abbiano mai visto. In pochi minuti di presenza Michael Keaton - sfigurato da un trucco folle ed espressionista – regala alla storia del cinema una delle sue migliori interpretazioni, incarnando quello che era uno dei desideri più grandi del giovane Burton: rivisitare l’immaginario horror della leggendaria casa di produzione Hammer. 

Oggi, a distanza di ventisette anni non ci resta che aspettare il ritorno di Beetlejuice sul grande schermo. Operazione su cui Burton sta lavorando, in questo momento nel tentativo di convincere una certa attrice a rivestire i panni neri e gotici di Lydia Deetz. 

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