Una città
che nello sguardo dello spettatore è impossibile da catturare per intero, animata
da scorci in interno e passages in
esterno. Questa è la Torino de Il gatto a nove code, precorritrice
delle città-puzzle che caratterizzeranno i lavori successivi di Dario Argento.
Secondo quest’approccio luoghi provenienti da città diverse (Roma, Torino, New
York, tra le più ricorrenti) vanno a costituirne uno solo, immaginato e
realizzato per la storia raccontata. Ne Il
gatto a nove code, Torino è ammantata da un’atmosfera noir tutta costruita sulla tensione e sull’impossibilità di cogliere
per intero i dettagli necessari alla risoluzione degli eventi: una lite in strada,
una discussione dentro un’automobile in movimento. E ancora le scale: ossessione
di tutto il cinema di Dario Argento, che qui assumono un’allure a metà fra espressionismo e surrealismo, le camere
dell’istituto scientifico dove è ambientata la vicenda, il cui operato è celato
da ante socchiuse, soffitte polverose, finestroni e persino tetti industriali.