giovedì 22 agosto 2013

Darkman di Sam Raimi (1990)

Il genio di Sam Raimi è celebrato per molte cose. Principalmente per la trilogia “altra” de La Casa (Evil Dead), ancora oggi al centro di incredibili dibattiti nella nutrita schiera di appassionati, poi per la trilogia di Spider-man, amata da grandi e piccini, ma c’è una delle sue pellicole che merita altrettanto entusiasmo e questa pellicola è Darkman, un autentico capolavoro con radici che si innestano equamente nella cultura pop e nella letteratura.
Darkman, scritto e girato fra il secondo e il terzo film de La Casa, possiede l’attitudine a realizzare una nuova attrazione di quel grande Luna Park cinematografico che è la filmografia di Sam Raimi, ma c’è dell’altro, il film dimostra anche un equilibrio impeccabile nelle suggestioni, nei temi, nella realizzazione formale e nella scelta degli attori. In Darkman c’è il gotico di Mary Shelley come prototipo della science fiction, c’è l’attitudine comics e roboante che ci entusiasma sempre, la flânerie di Benjamin (interpretata sul finale da Bruce Campbelll!), «I semi del male» e la tragedia shakespeariana. Tutto ciò fluisce, perfettamente dosato come in uno degli alambicchi del protagonista Peyton Westlake (Liam Neeson), per essere distillato dal genio di Raimi in una visione che consegna all'immaginario pop uno dei personaggi più interessanti della cinematografia contemporanea.
Darkman è il più felice esempio di una delle principali caratteristiche del talento di Raimi: quella di creare, personaggi, situazioni, gag, persino stacchi (si pensi a quello che vede Julie cambiare d’abito e di scena traslandosi al cimitero dopo la “morte” di Peyton) in grado di imprimersi nell’ormai satura memoria dello spettatore e di rimanerci. Il processo, questa volta, è aiutato dalla presenza di due attori di smisurato talento quali Liam Neeson e Frances McDormand (un ulteriore legame con i fratelli Coen, dopo il loro intervento durante il montaggio de La Casa e l’influenza reciproca nel recupero della slapstick comedy). Mentre Neeson da “volti” (il plurale è d’uopo) a Peyton, nella sua evoluzione e nello sbocciare dei bad seeds (che qui hanno origine biologica, specificatamente spinotalamica), McDormand è la frizzante Julie, avvocato alla scoperta di un legame criminale fra il magnate Louis Strack Jr. e la malavita.

Recuperiamo quindi Peyton, all'interno del suo laboratorio, nella sintesi di un’epidermide artificiale, passando per la trasformazione cruenta in Darkman, godiamoci ognuno degli step della vendetta nei confronti dei malavitosi al soldo del mellifluo Durant, fino allo scontro finale ambientato su un grattacielo in costruzione (niente di meglio per simulare situazioni da Luna Park tanto care a Raimi) e al finale aperto che anticipa quelle che saranno le future esperienze di Sam Raimi nel cine-comic

mercoledì 21 agosto 2013

La caduta della casa degli Harmon: nota a margine sulla prima stagione di American Horror Story


Esiste una nuova schiera di narratori americani, spregiudicati e talentuosi, che si è presa carico di realizzare quell'aspirazione comunitaria nota ai più come la stesura del «grande romanzo americano». Questo gruppo di autori ha scelto come mezzo non più la carta stampata bensì il piccolo schermo, ha attraversato l'âge d'or della serialità televisiva, moltiplicando le possibilità di concretizzare l’idea di una narrazione di grande respiro, di un immaginario il più univoco possibile che non disdegni di guardare alle proprie origini, alla serialità narrativa, al racconto che è alla base della migliore narrativa americana, da Mark Twain e Sherwood Anderson in poi. Tre di loro meritano particolare menzione: Alan Ball (padre di Six feet under e True Blood), I. Marlene King (Pretty Little Liars) e Ryan Murphy (Nip/Tuck, Glee). Tralasciando, solo per ora, i primi due occupiamoci del diafano creatore di Nip/Tuck, in particolare della «creatura» data alla luce dopo che Sean McNamara ha lasciato Christian Troy all'aeroporto di Los Angeles. È proprio qui, nella città degli angeli, che arrivano da Boston gli Harmons, nuovi e ignari proprietari di quella che impareranno a conoscere come la Murder House, paradigma fisico e proscenio multiplo della prima stagione di American Horror Story.

domenica 4 agosto 2013

L'armata delle tenebre di Sam Raimi (1992)

Dopo aver realizzato uno dei film più iconici del genere horror, aver attirato l’attenzione dei produttori e virato su una visione spassosissima e splatterstick i Michigan Boys, guidati dal genio di Sam Raimi, riescono finalmente nel loro intento: scaraventare il loro protagonista, Ash Williams, nel medioevo. Un’idea che al gruppo era già balenata ai tempi de La Casa 2 ma che ora può finalmente trovare realizzazione materiale, portando a compimento la mitopoiesi del loro protagonista beone. Se ne La Casa la performance in solitaria di Bruce Campbell era stata costretta da un budget risicato e da problemi di produzione (ottenendo comunque un esito disturbante, ormai immortale) e ne La Casa 2 la virata cartoonista aveva acceso gli animi dei fan, si deve al terzo film, L’armata delle tenebre, l’assunzione di Ash Williams nell'empireo pop.
Com'è stato possibile? Grazie alla scrittura di Sam e del fratello Ivan che donarono un ritmo pazzesco alle battute di Ash, in tandem a un magnifica regia da fumetto. Neanche a dirlo, grazie a entrambe le cose il film è diventato un cult in tutto il mondo. Frasi come «your pain, my gain», «Boomstick: $199.99, Shells: 39.99, zombies heads blowing off: priceless» o «first you wanna kill me, now you wanna kiss me» sono ancora oggi oggetto continuo di memetica per i fan, che sembrano non averne mai abbastanza. L'armata delle tenebre vanta un fandom entusiasta, in grado di ricostruire persino la vita dell’adorabile beone, dagli studi in ingegneria al lavoro ai grandi magazzini S-Mart (vedi prologo e finale de L’armata delle tenebre).

sabato 3 agosto 2013

Within the Woods di Sam Raimi (1978)

Recuperiamo da dove abbiamo lasciato i nostri «Michigan boys». Anzi no, torniamo un po’ indietro, alla genesi della trilogia “altra” de La casa, quando i giovanissimi Sam Raimi, Bruce Campbell, Robert G. “Rip” Tapert e Scott Spiegel sono nell'occhio del ciclone della loro passione: i filmati in super 8 e hanno quest’idea folle di realizzare il film più disturbante della storia del cinema d’orrore. Un film che nei loro progetti aveva ancora Book of the dead come titolo e tantissimo bisogno di finanziatori. Roosevelt una volta disse «fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei» e questo fecero Raimi e i suoi compagni, buttarono giù e girarono in Super 8 un sunto cinematografico della loro idea di orrore, un condensato di tutti quelli che sarebbero stati gli stilemi e le caratteristiche formali del loro film, usando persino alcuni degli attori che poi avrebbero recitato nel loro primo lungometraggio. Nacque così Within the woods, un corto di trentadue minuti, girato nella fattoria dei Tapert (ricordiamo, «nel posto in cui sei») con protagonisti Bruce Campbell e la mia preferita tra le «ladies of Evil Dead»: Ellen Sandweiss.
Nonostante la bassa qualità delle copie in giro di Withinthe woods (a quando un cofanetto della trilogia con la riedizione del cortometraggio?) il recupero riserva grandi sorprese e accende gli animi di entusiasmo. Chi pensa che la genialità di Sam Raimi risieda solo nelle scelte formali, nella camera che corre rasoterra, nella propria interpretazione della slapstick, si sbaglia. Nella sua visione c’è quell'attitudine a «fingere le cose paurose» che nasce dalla cultura americana più classica e simbolica, quel fiume carsico che attraversa i boschi su cui posarono lo sguardo i padri pellegrini, la rassicurante suburbia in cui i bambini giocano col non-visibile, i luoghi dei nativi sporchi di sangue e senso di colpa. In buona sintesi quel Gotico Americano che Raimi richiama già in Within the woods, con il portico e una dondola identica a quella che troviamo a casa dei Finch nel film Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan, qui impazzita e disturbante nel suo sbattere continuo contro la parete di legno.