Esiste una nuova schiera di narratori americani,
spregiudicati e talentuosi, che si è presa carico di realizzare
quell'aspirazione comunitaria nota ai più come la stesura del «grande romanzo
americano». Questo gruppo di autori ha scelto come mezzo non più la carta
stampata bensì il piccolo schermo, ha attraversato l'âge d'or della serialità televisiva, moltiplicando le possibilità
di concretizzare l’idea di una narrazione di grande respiro, di un immaginario
il più univoco possibile che non disdegni di guardare alle proprie origini, alla
serialità narrativa, al racconto che è alla base della migliore narrativa
americana, da Mark Twain e Sherwood Anderson in poi. Tre di loro meritano
particolare menzione: Alan Ball (padre di Six
feet under e True Blood), I.
Marlene King (Pretty Little Liars) e
Ryan Murphy (Nip/Tuck, Glee). Tralasciando, solo per ora, i
primi due occupiamoci del diafano creatore di Nip/Tuck, in particolare della «creatura» data alla luce dopo che Sean
McNamara ha lasciato Christian Troy all'aeroporto di Los Angeles. È proprio
qui, nella città degli angeli, che arrivano da Boston gli Harmons, nuovi e
ignari proprietari di quella che impareranno a conoscere come la Murder House, paradigma fisico e
proscenio multiplo della prima stagione di American Horror Story.
Edgar Allan Poe. |
Nei progetti dei suoi creatori Ryan Murphy e Brad Falchuk,
AHS rivendica, facendone un punto di forza, l’attitudine al racconto in
raccolta, realizza un insieme di storie in grado di dialogare fra loro
nonostante personaggi e ambientazioni differenti, crea una nuova organicità
antologica che supera quella romanzesca.
Questa prima stagione di AHS, ribattezzata a
posteriori dai fan Murder House
(dando così avvio a una tradizione che vedrà Asylum come titolo della seconda stagione e Coven della terza) abbandona i territori del Gotico Americano (oggi
di proprietà di I. Marlene King e delle sue liars)
per un viaggio nelle simmetrie folli, disturbanti e claustrofobiche di Edgar
Allan Poe. Dopo il suo ingresso nella casa la famiglia Harmon – Ben padre
fedifrago, Vivien madre e moglie tradita e Violet, adolescente dark e sull'orlo
della depressione - vede moltiplicare se stessa in una serie di figure che
diventa presto coro armonico. Le «creazioni» della Murder House si affastellano
l’una sull'altra nei diversi piani della casa. Spesso le sentiamo lamentarsi di
vivere in solitudine nonostante l’impossibilità di lasciare l’edificio (tranne
che in una certa notte di fine ottobre): il giovane sociopatico Tate Langdon
(Evan Peters, l’attore più vicino all’estetica di Ryan Murphy), i Montgomery
che negli anni venti costruirono la casa secondo i propri gusti facendone poi
culla per abomini in fasce, Hayden amante di Ben Harmon in cerca di una
sanguinosa riscossione, Moira O’Hara spirito connivente che si mostra agli
occhi lussuriosi degli uomini come una riedizione disturbata di Angela
LaBarbera mentre a quelli delle donne appare con la maschera stregonesca
dell’immensa Frances Conroy, Chad
(Zachary Quinto) e Patrick, coppia omosessuale in crisi, Lorraine Harvey arsa
viva con le figlie nella casa, Maria e Gladys giovani infermiere trucidate da
un maniaco la sera di un concerto dei Doors nel 1968, persino la Dalia Nera
Elizabeth Short (qui interpretata da Mena Suvari). Tutte queste storie, queste
figure, sono ectoplasmi in pena, si fondono l’una nell’altra, sono speculari e
simmetriche (una dei principali piaceri della serie è assistere al connubio o
allo scontro speculare fra loro), come nei racconti di Poe queste molteplici
complementarietà sembrano sempre doversi risolvere nell’omicidio, una delle due
figure che si fronteggiano – Ben e Hayden, Violet e Tate, Vivien e Nora, Chad e
Patrick, solo per fare qualche esempio - sembra dover uccidere l’altra o
trascinarla nella morte con sé. In Murder
House s’instaura una sinistra fame di violenza che scivola dalla zona notte
al seminterrato, giocando sulle forze opposte del conflitto e dell’accomunare.
La cornice orrorifica della casa, ornata da decine di ritratti, di «ovali» che
ne affollano le camere stratificandosi gli uni sugli altri, è teatro di tenzoni
sulla maternità, il matrimonio, l’infanzia e, neanche a dirlo, il sesso. Vi
sono poi alcuni personaggi liminali, coscienti della natura ferina della Murder
House e pronti a comunicare, persino utilizzare la stessa. Si tratta di figure
amabili e perfettamente tratteggiate: Constance, una meravigliosa Jessica Lange pre-Sister Jude, il
mascalzone due-facce Larry (Denis O’Hare,
il mio preferito) e la medium Billie Dean Howard (Lana Banan… ehm, Sarah Paulson).
In definitiva possiamo leggere (ops) American Horror Story: Murder House come
un gioco carnevalesco, folle, simmetrico e violento in cui, proprio come in
Poe, la realtà e l’apparenza penetrano l’una nell'altra.
Denis O’Hare è anche il mio preferito, un personaggio drammatico e comico al tempo stesso.
RispondiEliminaMa guardiamo al futuro: si sa niente su Zachary Quinto? Ci sarà anche lui in AHS Coven o no?
Una simpatica canaglia Larry, ho amato le sue sortite appresso al povero e imbolsito Ben! Purtroppo ancora non si sa niente sulla presenza di Zacharyno. Come ha detto lui stesso "vedremo".
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