sabato 24 gennaio 2015

Kaboom di Gregg Araki (2010)


Le strutture asciutte e metafisiche di un campus tutto in notturna accolgono l’arrivo di nuovi giovani eroi. Come nella migliore epica sono introdotti da una visione onirica, un sogno tumido e disturbante che sappiamo già contenere tutta la narrazione che Gregg Araki ha in serbo per noi. Sì, perché anche in Kaboom (pellicola vincitrice della Queer Palm al Festival di Cannes nel 2010) l’apertura ha i contorni sfumati della zona liminale tra veglia e sonno, un momento in cui i sensi in parte obnubilati sembrano sviluppare sensazioni più vivide e acute. Questo succede al diciottenne Smith (Thomas Dekker che eredita il ruolo di eroe timido, sexy e disorientato che fu di James Duval nella Teenage Apocalypse Trilogy), appena arrivato al campus per studiare cinematografia - «Ho sempre desiderato studiare cinema. Anche se risulta un po’ anacronistico, dal momento che ignoriamo se il cinema così come lo conosciamo continuerà a esistere in futuro» - insieme all’amica Stella (Haley Bennett, stupenda). In Kaboom Araki ricostruisce ancora una volta la cellula totipotente dell’unica famiglia possibile, quella componibile e di matrice amicale qui ritratta nell’esplosivo momento del risveglio sessuale.
Smith sogna il sesso con il suo compagno di stanza (un surfista di nome Thor «come il fumetto!» direbbe questi, grattandosi le palle), desidera una relazione romantica col tenero Oliver (Brennan Mejia, una versione arakiana del Ninetto Davoli di Pasolini) e sperimenta, dalla spiaggia per nudisti all’incontro con quel folletto intelligente e maturo di London (Juno Temple, adorabile e bravissima come sempre). Stella, invece, si lancia in una relazione con la strega nera Lorelai (Roxane Mesquida, senza dubbio l’erede di Eva Green) regalandoci momenti di puro disagio e divertimento (provate voi a lasciare una folle di catena con poteri sovrannaturali).

La bellezza immane del cast di Kaboom.
In Kaboom si manifestano gli echi millenaristici annunciati dal «prepare for the apocalypse» di Doom Generation. Echi su cui la generazione anni Ottanta e Novanta – chiedete a Tondelli o Mancassola - ha imbastito sonorità su cui ballare fino alla fine del mondo. Le sensazioni di angoscia e disagio si commistionano al risveglio sessuale di Smith, amplificandone i connotati. L’onomatopea del titolo è questa esplosione e anche di più. È l’immaginario della cultura pop che deflagra e si ricostituisce in un’iperrealtà dark, sexy, in cui diverse dimensioni convivono, s’incontrano e danno vita a infinite (e spassosissime) possibilità. In Kaboom, all’interno di una meravigliosa trama lunare, i rebel without a cause sfrecciano su automobili in corsa sulle note di The Bitter End dei Placebo, l’immaginario da liberal arts college elaborato da Bret Easton Ellis in Le regole de l’attrazione incontra lo show televisivo Streghe. E ancora, una nuvola di schegge policrome provenienti dall’horror, dalla sit-com, Scientology, il cinema di Antonioni, Twin Peaks e Beverly Hills 90210, brillano sotto la luce liquida dei lampioni del campus mentre tornate, strafatti, al vostro dormitorio.  

Kaboom è la serie televisiva che Araki avrebbe voluto completare per MTV (ricordate l’episodio pilota della serie poi cancellata This Is How the World Ends del 2000?). È la descrizione dell’annunciata (e agognata) perdita dell’unità del mondo e dello spettacolo così come l’abbiamo conosciuto in - KABOOM! – un’unica e gigantesca esplosione.

2 commenti:

  1. Non un film perfetto, però una delle più esaltanti ed esplosive figate viste negli ultimi tempi!

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