«DeLillo il profeta», «DeLillo l’aveva previsto e
raccontato»
e la più ben nota dichiarazione «il movimento Occupy Wall Street è nato
mentre giravamo il film!» rilasciata da David Cronenberg, sono tre tagline perfette per l’immaginifica
riduzione cinematografica del romanzo di Don DeLillo Cosmopolis, ma non
rendono giustizia all’opera dell’autore di Americana.
Le centottanta pagine del romanzo descrivono quale sia l’unica via possibile
del narrare oggi. Leggendolo, il lettore partecipa alla deriva del protagonista
Eric Packer, sente di fare parte di
quella matrice digitale che è il capitalismo descritto dalla consulente teorica
Vija
Kinsky (declinazione delle teorie
elaborate da Kevin Kelly), comprende che la flânerie
attraverso i diversi piani temporali e le percezioni ontologiche di Eric sono
ormai l’unico modo di descrivere la realtà.
Il libro, non a caso,
è dedicato a Paul Auster che insieme a DeLillo partecipò
all’antologia-manifesto Schegge d’America
(1997). Non a caso, in quell’occasione, i due autori prepararono due
stranianti racconti basati sul dialogo, due sceneggiature teatrali che vedevano
nel naturalistico confronto verbale tra i protagonisti la giusta chiave per
realizzare una nuova forma di narrativa alla deriva, in grado di esistere e
convivere con i nascenti nuovi media. In Cosmopolis,
a sei anni dall’uscita dell’antologia Avant-Pop di Larry McCaffery, la via è
ancora quella. DeLillo incarna nel giovane direttore d’azienda, il ventottenne
Eric Packer, il paradigma narrativo, il perno di diversi punti di vista che nel dialogo trovano il modo di descrivere la realtà
contemporanea: fagocitante, caleidoscopica, sensuale, violenta e franta. Eric è
il discendente scellerato di Leopold Bloom, il figlio di una deriva gen(er)ica
che ha mutato il suo DNA raggiungendo un livello di sconvolgimento della percezione
della realtà senza ritorno. Eric è un organismo post-sessuale (probabilmente uno
dei motivi per cui David Cronenberg si è innamorato di lui), l’unico modo che
ha per introdursi nell’altro è il dialogo, egli confronta la sua visione su tempo
e possesso con tutti i personaggi che vengono a contatto con lui durante l’arco
della giornata: il capo della sicurezza Torval, la già citata Vija Kinsky (la cui
voce e il cui sguardo superano la pagina per raggiungere i sensi del lettore,
allo stesso tempo terrorizzandolo e seducendolo), la giovane moglie Elise
(l’unica opportunità di ancorarsi a quel che rimane del reale, puntualmente
fagocitata da Eric), la mercante d’arte Didi Fincher, la consulente finanziaria
Jane Melman e la guardia del corpo dai tratti ancestrali Kendra Hays.
Leggere della
limousine di Eric che fluisce attraverso la protesta degli uomini–ratto mentre
Vija descrive l’organismo capitalistico ha dello straordinario, ed è fra le più
lucide rappresentazioni della società capitalistica, «La cultura del mercato è totale.
Questi uomini, queste donne sono un suo prodotto. E sono necessari al sistema
che disprezzano. Gli forniscono energia e definizione. Sono manovrati dal
mercato. Vengono scambiati sui mercati mondiali. È per questo che esistono, per
rinforzare e perpetuare il sistema.».
Infine, per la
dichiara matrice estetica Avant-Pop, merita menzione la descrizione del
funerale del rapper sufi Brutha Fez che per la sua ipersatura e immaginifica
visione realizzata per accumulazione e giustapposizione lega il romanzo a certe
visioni rituali presenti in Schegge
d’America. Un lungo corteo composito accompagna il feretro scoperto del
rapper: suore, guardie del corpo in completo scuro, ballerini di breakdance,
dervisci vorticanti e santoni in turbante.
In definitiva Cosmopolis è un romanzo chiave,
essenziale. Data la brevità ideale anche per chi approccia per la prima volta
la produzione di Don DeLillo.
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