mercoledì 13 giugno 2012

Capitalismo, dialogo e rappresentazione alla deriva: Cosmopolis di Don DeLillo (2003)


«DeLillo il profeta», «DeLillo l’aveva previsto e raccontato» e la più ben nota dichiarazione «il movimento Occupy Wall Street è nato mentre giravamo il film!» rilasciata da David Cronenberg, sono tre tagline perfette per l’immaginifica riduzione cinematografica del romanzo di Don DeLillo Cosmopolis, ma non rendono giustizia all’opera dell’autore di Americana. Le centottanta pagine del romanzo descrivono quale sia l’unica via possibile del narrare oggi. Leggendolo, il lettore partecipa alla deriva del protagonista Eric Packer, sente di fare parte di quella matrice digitale che è il capitalismo descritto dalla consulente teorica Vija Kinsky (declinazione delle teorie elaborate da Kevin Kelly), comprende che la flânerie attraverso i diversi piani temporali e le percezioni ontologiche di Eric sono ormai l’unico modo di descrivere la realtà.
Il libro, non a caso, è dedicato a Paul Auster che insieme a DeLillo partecipò all’antologia-manifesto Schegge d’America (1997). Non a caso, in quell’occasione, i due autori prepararono due stranianti racconti basati sul dialogo, due sceneggiature teatrali che vedevano nel naturalistico confronto verbale tra i protagonisti la giusta chiave per realizzare una nuova forma di narrativa alla deriva, in grado di esistere e convivere con i nascenti nuovi media. In Cosmopolis, a sei anni dall’uscita dell’antologia Avant-Pop di Larry McCaffery, la via è ancora quella. DeLillo incarna nel giovane direttore d’azienda, il ventottenne Eric Packer, il paradigma narrativo, il perno di diversi punti di vista che nel dialogo trovano il modo di descrivere la realtà contemporanea: fagocitante, caleidoscopica, sensuale, violenta e franta. Eric è il discendente scellerato di Leopold Bloom, il figlio di una deriva gen(er)ica che ha mutato il suo DNA raggiungendo un livello di sconvolgimento della percezione della realtà senza ritorno. Eric è un organismo post-sessuale (probabilmente uno dei motivi per cui David Cronenberg si è innamorato di lui), l’unico modo che ha per introdursi nell’altro è il dialogo, egli confronta la sua visione su tempo e possesso con tutti i personaggi che vengono a contatto con lui durante l’arco della giornata: il capo della sicurezza Torval, la già citata Vija Kinsky (la cui voce e il cui sguardo superano la pagina per raggiungere i sensi del lettore, allo stesso tempo terrorizzandolo e seducendolo), la giovane moglie Elise (l’unica opportunità di ancorarsi a quel che rimane del reale, puntualmente fagocitata da Eric), la mercante d’arte Didi Fincher, la consulente finanziaria Jane Melman e la guardia del corpo dai tratti ancestrali Kendra Hays.

Leggere della limousine di Eric che fluisce attraverso la protesta degli uomini–ratto mentre Vija descrive l’organismo capitalistico ha dello straordinario, ed è fra le più lucide rappresentazioni della società capitalistica, «La cultura del mercato è totale. Questi uomini, queste donne sono un suo prodotto. E sono necessari al sistema che disprezzano. Gli forniscono energia e definizione. Sono manovrati dal mercato. Vengono scambiati sui mercati mondiali. È per questo che esistono, per rinforzare e perpetuare il sistema.».
Infine, per la dichiara matrice estetica Avant-Pop, merita menzione la descrizione del funerale del rapper sufi Brutha Fez che per la sua ipersatura e immaginifica visione realizzata per accumulazione e giustapposizione lega il romanzo a certe visioni rituali presenti in Schegge d’America. Un lungo corteo composito accompagna il feretro scoperto del rapper: suore, guardie del corpo in completo scuro, ballerini di breakdance, dervisci vorticanti e santoni in turbante.
In definitiva Cosmopolis è un romanzo chiave, essenziale. Data la brevità ideale anche per chi approccia per la prima volta la produzione di Don DeLillo. 

Nessun commento:

Posta un commento