venerdì 17 maggio 2013

Dark Star di John Carpenter (1974)


Proviamo a collocarci temporalmente. Attenzione, siamo molto prima della definitiva rottura, poco tempo prima dell’inizio delle due incredibili carriere che i nostri protagonisti intraprenderanno nel cinema, lavorando su piani e in modi diversi. Siamo dopo che i nostri due eroi, ancora giovani studenti dell’University of South California, si conoscessero decidendo di mettere insieme ingegno e quella carica creativa che avranno entrambi il modo di liberare nei successivi lavori per il grande schermo. Di chi e cosa stiamo parlando? Di John Carpenter e Dan O’Bannon e del loro primo lungometraggio Dark Star, che sarà ricordato come la spassosa e brillante risposta alla pretenziosità creativa di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Dark Star è innanzitutto un tavolo di lavoro su cui Carpenter e O’Bannon affrontano per la prima volta i propri interessi: la fantascienza, il confronto alieno/umano, l’insondabile, l’inferenza tecnologica. Il risultato è un’irriverente incursione “altra” nella fantascienza, in cui gli astronauti sono degli sciamannati unici (su tutti il sergente Pinback, interpretato dallo stesso Dan O’Bannon!) o nel migliore caso degli svampiti colti nella contemplazione estatica del grande universo. Il recupero delle questioni capitali di 2001 e de Il dottor Stranamore sono qui affrontate con un fortunato senso del parodistico e del surreale: «la bomba» (ovvero: come imparai a non preoccuparmi e a convincerla a non esplodere), l’approccio distruttivo e colonizzatore, la questione esistenziale e l’intelligenza artificiale.

L'alieno, mascotte della Dark Star. 
La visione carpenteriana recupera l’attitudine tipica dei pulp magazine e dei fumetti (di cui si nutre avidamente anche Pinback) girando alcune sequenze davvero divertenti, come quella che vede il sergente impegnato nel recupero dell’alieno di bordo (e mascotte), una comica creatura a forma di pallone gonfiato, con un senso dell’humour tutto suo. Ancora, la posizione solitaria ed estatica di Talby nella sua cupola sul tetto dell’astronave Dark Star, gli allucinati video-diari (in cui veniamo a sapere che sull'astronave manca la carta igienica…), le personalità del computer di bordo e il dialogo surreale tra il tenente Doolittle e il comandante Powell, conservato criogenicamente e quindi rallentato nel ragionamento dalle basse temperature. L’intento è quello che ha ben definito Mauro Gervasini nel dossier di «Nocturno» dedicato a Carpenter: rivendicare l’appartenenza della sci-fi alla serie B di Hollywood. Personalmente credo sia necessario prestare particolare attenzione anche all'aspetto visivo della pellicola. Aspetto cui Carpenter si dedica trovando soluzioni davvero interessanti e che si può osservare, in particolar modo, nelle scelte cromatiche pop che rendono iconiche e stranianti molte delle sequenze di Dark Star.

Tra dialoghi esistenzialisti con un’esacerbata bomba (l’ormai cult bomba n. 20) con cui argomentare alla maniera di Cartesio e Husserl, questioni d’età e anni luce, tagli alla spesa (sic!) e surf sui rottami, Dark Star raggiungere il finale diventando un piccolo-grande cult, ancora assai amato da nerd e cinefili di tutto il mondo. 

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