mercoledì 8 maggio 2013

Il divo: La spettacolare vita di Giulio Andreotti di Paolo Sorrentino (2008)


Il divo, pellicola del 2008 di Paolo Sorrentino dimostra il suo straordinario impatto visivo ed emotivo (in grado di investire non il solo spettatore italiano) già dalla sua sequenza di apertura, la magistrale carrellata di omicidi sulle note di Toop Toop dei Cassius: il generale Dalla Chiesa, Mino Pecorelli, i banchieri Calvi e Sindona, Giorgio Ambrosoli e la deflagrante immagine dell’attentato a Giovanni Falcone. Una sequela annichilente di morti su cui si costruisce l’immaginario oscuro che sarà del «divo» Giulio.
Sorrentino focalizza la sua rappresentazione sul periodo che va dal 1991 al 1993, dalla nascita del VII Governo Andreotti all'apertura del maxiprocesso di Palermo, ma la sua è una raffinata operazione di esplorazione e manipolazione, un’operazione estremamente creativa, che consegna allo spettatore una visione straniante, fatta di sequenze iconiche. Sequenze che spaziano nel territorio del grottesco, in grado di rappresentare nel miglior modo possibile gli eventi. Si pensi all'arrivo della «corrente» andreottiana al cospetto del  «divo»  La segretaria, la signora Enea (interpretata da una commovente Piera Degli Esposti), chiude le finestre perché «sta arrivando una brutta corrente» e come in uno dei più sporchi spaghetti western ecco la materializzazione della metafora: Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella e il cardinale Fiorenzo Angelini, osservati dalla camera di Sorrentino attraverso la lente del grottesco, l’unica in grado di fissare le orride peculiarità di ognuno in maniera indelebile. La sequenza è un esempio delle metafore e delle allegorie presenti ne Il divo. Immagini che hanno un immediato potere coagulativo sullo spettatore e che spesso sono vere e proprie «manifestazioni» di natura surrealista, notturne, umbratili e disturbanti, perfettamente coadiuvate dai brani musicali di commento (il rock, l’elettronica, la leggera italiana). Si pensi, ancora, alla sequenza della batucada in cui il palazzo del potere batte al ritmo di una samba straniante, più che un suono celebrativo, questa ha tutte le caratteristiche dell’apertura di una danse macabre che da lì a poco inghiottirà irrimediabilmente tutti.
Paolo Sorrentino ne Il divo ha a sua disposizione il talento straordinario di Toni Servillo, che abbraccia il personaggio del «divo» Giulio declinandone perfettamente l’immagine enigmatica e sardonica. Anche qui l’operazione è (fortunatamente) lontana dal realismo convenzionale e il risultato è divertente e sfrenato. Lo stesso Roger Ebert nella sua recensione a Il divo dirà «mi sarei dovuto sentire indignato. Avrei dovuto sentirmi così anche dopo aver visto Il padrino. Ma questi film presentano personaggi talmente affascinanti che mi ritrovo ad ammirarli, incredulo.».

Mentre tutte le versioni degli eventi sono state in qualche modo falsificate, non resta che coniarne una rielaborazione propria. Questo fa il grande talento di Paolo Sorrentino, ottenendo la massima gratificazione: quella «gambetta schizzata», quel moto stizzito di cui si racconta durante la visione privata de Il divo per il «divo» ne è la testimonianza. Il surrealismo ha potuto laddove tutti hanno fallito.

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