Pensare a cosa producesse il nostro cinema, quando i generi impazzavano e le menti (di produttori, di registi, di sceneggiatori) eran libere di scorazzare a briglia sciolta, crea un vago senso di vertigine, soprattutto osservando alla “Little Big Horn” del nostro attuale panorama… Proprio mentre il solitamente garbato Ettore Scola, si divertiva a mitragliare il facile, accomodante, populismo neo-realista con quel fetido capolavoro che è Brutti, sporchi e cattivi, negli scantinati delle “pratiche basse”, Cesare Canevari, il Ken Russell de no’artri, inventava l’instant movie facendosi beffe, in un sol colpo del “quarto potere”, della politica internazionale e dei colleghi dei piani alti (tipo il Bellocchio di Sbatti il mostro in prima pagina) convinti di sposare Cinema e Verità… A Canevari (ed al proprio sceneggiatore, Antonio Lucarella) è bastato uno scampolo di realtà per forgiare uno dei più folli (e di conseguenza entusiasmanti) B-movie all'amatriciana: pare infatti che il dittatore ugandese Idi Amin Dada (“generalissimo” salito con la forza al potere nel 1971) avesse come amante Elisabeth Cristobal Bagaya, ultimo bellissimo virgulto d’una locale famiglia nobile. Una principessa, di sicuro. Nuda, forse. Tutto qui: una minuscola miccia in grado di far esplodere lo schermo, letteralmente invaso dalla sghemba bellezza di Ajita Wilson (qui al top), il trans più famoso del (nostro) cinema: sì, perché La principessa nuda è interamente sulle sue gracili spalle d’ebano. La palpitante, collerica, macchina da presa di Canevari non la abbandona quasi un solo istante indugiando sovente sulle sua grazie, senza dimenticare però i silenzi, il suo sguardo da preda braccata, il vago, celato, tremore di quelle possenti mani da manovale (sic): accarezzato dall'acqua di una doccia, profanato da una banda di coatti metropolitani, avvolto in mantelli degni dell’eterea Vulnevia del Dr. Phibes, è il corpo di Ajita Wilson, magico connubio di genetica e chirurgia, la vera anima del film. Fisicità altera ed altra, quella della Wilson, a cui fa da contraltare l’anoressica sensualità di Tina Aumont, incontrastata regina del Morbo; se, come si diceva prima, il cuore de La principessa nuda è da ricercare fra le carni esposte e dolorosamente offerte della Wilson, la tensione narrativa del film è cadenzata dagli occhi “alla Poe” della Aumont, medusea bellezza dallo sguardo che uccide. È forse grazie a tale gioco degli opposti, a codesto ying e yang dei sensi, che questa poverissima fatica nata per esigenze alimentari vola nell'Empireo dei cult movie. Dico “forse” perché buona parte del merito va, appunto, a Cesare Canevari, maestro nell'arte dell’Iperbole e del Grandangolo. Le scene memorabili, benedette dalla più dispettosa e sulfurea delle Muse, si sprecano: basterebbe l’incipit, quasi uno stralcio “impazzito” de La farfalla sul mirino di Seijun Suzuki, con quella banda di centauri motorizzati nel centro di una Milano disumanizzata, bagnata dai neon di mille ambigui locali notturni, per far entrare La principessa nuda nella videoteca ideale di ogni amante del cinema “de-genere”…E vogliam parlare della sincopatissima sequenza dello stupro (studia, Gaspar Noé, studia!), genialmente scandita dalle grida degli animali della foresta? Che altro dire, se non, citando Lord Franz Drago, il nano dell’orgia “Pop”: “Resta con noi, Gazzella Nera…”
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