Se Sulla
strada (1957) rappresenta il volto di una nuova,
giovane, generazione, figlia della piccola borghesia statunitense, in fuga
dalla pervadente phoniness (falsità/ipocrisia)
della società dei consumi, I vagabondi del Dharma, uscito un
anno dopo, è la naturale continuazione del percorso intrapreso da Jack Kerouac, con la fisiologica presa
di distanza dalla scena generazionale che lo stesso autore aveva contribuito a
creare. Ne I vagabondi la visione si
fa più malinconica, personale, certamente più ispirata. La ricerca della
«visione di potere della solitudine», il confronto ad alto contenuto emozionale
con la bellezza sovrastante e impermanente della natura producono pagine di
straordinaria bellezza (letteralmente mozza fiato). Tutto ciò nel viaggio di
Ray Smith, dal campus liberale di Berkeley (dove scorgiamo i volti di Allen
Ginsberg, Philip Whalen e di altri esponenti del San Francisco Renaissance),
fino alla corsa forsennata e surreale giù dai monti del Matterhorn Peak, e ancora
il ritorno a casa nell’inverno della Carolina e la conclusione sul Desolation
Peak (non prima che un certo battello sia partito per il Giappone…) per
l’ultima, immane, visione finale.
Il poeta Gary Snyder che ne I vagabondi sta dietro il personaggio di Japhy Ryder. |
Ne I
vagabondi del Dharma come in Sulla
strada l’autobiografia si mescola alla finzione letteraria ma, a differenza
del manifesto della controcultura beat,
raggiunge un livello di bellezza narrativa maggiore, più sincera, immaginifica
nelle visioni surreali, a volte sovrastanti e commoventi a volte spassose e
divertenti. Ray Smith, pur non
mollando mai la bottiglia, ha raggiunto il punto di saturazione del bagordare,
lo vediamo spesso allontanarsi al culmine delle feste per piazzare il sacco a
pelo in giardino e guardare le stelle o chiacchierare ai margini del cerchio
magico del divertimento con un nuovo amico bhikkhu.
La rottura con il perbenismo e il conformismo mortale della società
contemporanea è già avvenuto, Kerouac sa che il prossimo passo da fare è la
ricerca di una comunione solitaria con l’elemento naturale. In questo è
centrale la figura di Japhy Ryder
(dietro cui Kerouac cela l’amico e poeta Gary Snyder) che guida Ray alla
ricerca di un contatto superiore, un confronto diretto e genuino con la
maestosità della natura, l’allontanamento totale dall'elemento umano (rintracciabile,
per esempio, nella reazione di Japhy alla proposta di Ray di mangiare in un buon
ristorante tradizionale). Japhy e Ray, sono «vagabondi del Dharma», emuli dei
«pazzi zen orientali», insegnano a una nuova generazione di ragazzi a prendere
il proprio zaino, riempirlo dell’essenziale, e partire in solitudine alla
ricerca della rivelazione nella natura.
I
vagabondi del Dharma è pervaso da questa ricerca della solitudine e
dall'esito ottenuto dal confronto con essa. Un’operazione narrativa di grande
bellezza, Nonostante l’avversione delle istituzioni benpensanti alla sua uscita
(che lo accusarono di nichilismo, istigazione alla nullafacenza e all’alcolismo)
è da sempre di grande ispirazione per nuove generazioni da bhikkhus alla ricerca della vera rivelazione zen.
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