Un
pretesto. A Luc Besson è servito
solo un pretesto per poter liberare tutte le sue energie creative, le idee più
folli e sincopate in quello che si propone come un action thriller ma che dall’interno ne muta, amplia e modifica i connotati.
Lucy progetto ideato, scritto e
girato dal padre di Nikita e Leon, proprio per la sua natura
disinvolta si rivela una visione divertente, spassosa e stupefacente per lo spettatore: il
montaggio alternato, il tono sopra le righe della recitazione di comprimari e
comparse (boss della mafia taiwanese tratteggiati come i cattivi dei fumetti,
svenimenti ad hoc, sguardi enigmatici, divertiti, sgomenti), l’eccezionale
capacità della protagonista Scarlett Johansson (già Vedova Nera nel Marvel Cinematic Universe e aliena in Under the skin) di trasformarsi da
svampita studentessa in pelliccia ecologica a creatura sovraumana alla ricerca
dei suoi limiti (la possibilità di utilizzare il 100% delle possibilità del
cervello umano, o del pretesto di cui sopra), un’entità wireless in grado di
maneggiare le onde magnetiche, dallo sguardo-scanner, in grado di controllare
gli altri esseri viventi e la materia.
In
parallelo a Parigi il professor Norman (interpretato da Morgan Freeman), che da
sempre si è occupato della teoria secondo cui l’essere umano usa il cervello
solo per il 10% , sta tenendo una conferenza in cui spiega le diverse capacità
che l’uomo potrebbe acquisire se iniziasse a utilizzarne quote sempre più alte.
Nonostante il professore sia in cattedra, in un’aula magna gremita e partecipe,
Besson non manca di amplificarne il discorso montandolo con splendide immagini
che fanno da vere e proprie metafore amplificative.
Con Lucy
Besson utilizza la casuale nascita della sua eroina (sorta da un incidente
doloroso, come ogni supereroe) per catapultare lo spettatore nelle sue più
spassose ossessioni: l’uso della metafora attraverso il montaggio alternato, la
metamorfosi (con un paio di Louboutin addosso), gli effetti della droga
futuribile (altro che mitopoiesi Marvel, qui la nostra Lucy ne vive una sopra
le righe, sfiorarando il comico) la visione del globale descritta attraverso
giustapposizioni, il tempo come unica prova del reale e perno del
cinematografico.
Da Taiwan
a Parigi, passando per Berlino e Roma (dove si consolida una volta di più lo
stereotipo dell’italiano incapace a concludere l’operazione più semplice), fino
a New York per una sequenza à la The Tree
of Life sotto speed, come se fosse trasmesse in nottata da MTV Brand:New,
vedremo Lucy imbracciare armi, prendere un aereo mentre le sue cellule si immortalizzano
attraverso delle spore, sfrecciare contromano per le vie di Parigi (quanto ti
sei divertito a girare questa sequenza, Luc?), fondere la propria materia con
il silicio e trovare un modo comprensibile all’uomo di trasmettere tutta la sua
conoscenza (non prima di citare Lei (Her),
dove Scarlett Johansson presta la voce al sistema operativo Samantha).
Quello di
Luc Besson è un omaggio al cinematografico più spassoso e disinibito, libero e irriverente.
Lucy, conscia di potere muovere se stessa nel tempo assiste a ritroso ai
cambiamenti della città di New York, fino a incontrare… la prima Lucy,
l’esemplare di Australopithecus afarensis scoperta nel 1973 (per sfiorarle
l’indice citando la Creazione di Adamo
di Michelangelo), e ancora a ritroso fino alla nascita dell’universo. Non a
caso Lucy assiste a tutto ciò seduta su una poltrona, da spettatrice
meravigliata. Proprio come noi.
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