sabato 4 ottobre 2014

Sotto il ghiacciaio di Halldór Laxness (1968)



Lo scrittore islandese Halldór Laxness nel 1955 ricevette il Nobel per la letteratura, la motivazione era questa: «la sua opera epica ha rinnovato l’arte e la letteratura islandese». È da questa motivazione che si può partire per affrontare Sotto il ghiacciaio, opera di Laxness surreale, dalle molte suggestioni, opalescente e “altra”. Il romanzo, pubblicato in Italia da Iperborea, ha la capacità di recuperare, non l’immaginario, ma le istanze e le sensazioni offerte dalle saghe islandesi tradizionali per traslarle in un contesto moderno, che vedremo essere privo di contorni, cangiante, a metà tra la visione onirica e le schegge di iperrealtà giustapposta. Così come in una saga Sotto il ghiacciaio è intriso di epicità, vi è impressa l’impronta di una disputa d’amore ed è abitato da personaggi fuori dall’ordinario ma allo stesso tempo si presenta come una delle narrazioni più moderne della letteratura occidentale: registri mutevoli, i cui contorni condensano e si disperdono in frammenti e bagliori inafferrabili.
  Susan Sontag, nella postfazione che arricchisce l’edizione Iperborea dimostra come Sotto il ghiacciaio possegga, allo stesso tempo, le caratteristiche della fantascienza, del romanzo erotico, della favola, del romanzo onirico, filosofico, della letteratura sapienziale e della parodia. È un’esperienza unica per il lettore ritrovare nella stessa narrazione tutte le suggestioni tipiche di ognuna di queste forme.
In Sotto il ghiacciaio un giovane «candido», studente di teologia, viene inviato dal vescovo d’Islanda da Reykiavík fin sotto il ghiacciaio Snaefell per verificare – senza nessuna ingerenza o parere personale – lo stato del cristianesimo nella zona. Strane voci arrivano dal nord, raccontano che il pastore ha sprangato la chiesa, non ritira lo stipendio da anni. Si vocifera che sia riluttante a tumulare i morti e a battezzare i bambini. Allo stesso tempo si parla di riti pagani compiuti sul ghiacciaio e di strane casse trasportate nella notte.

Halldór Laxness
La narrazione oscilla tra la prima e la terza persona e ciò amplifica la sensazione di indeterminatezza provocata da un confronto che si rivela da subito essere la ricerca di una miriade di frammenti, appartenenti a realtà percepite come diverse.
Il giovane narratore, emissario del vescovo (abbreviato Emve) raggiunto il villaggio alle pendici del ghiacciaio dove Jules Verne ambientò la sua discesa al centro della terra, scopre che la comunità locale attendeva già il suo arrivo e fra toni parodistici e umorismo si troverà a confrontarsi con una galleria di personaggi fantasmagorici, che lo introdurranno al pensiero sotto il ghiacciaio. I dialoghi, «la spina di pesce della realtà» del romanzo di Laxness evocano una stirpe di donne «dalla carne buona», che si dice non abbia bisogno di mangiare o dormire, gli incontri si fanno strada verso manifestazioni surreali sempre più potenti: un trio di santoni di origine americana, un magnate in grado di comunicare con le galassie e con entità capaci di incarnare la vita usando la straordinaria energia proveniente dal ghiacciaio, un pastore convinto che la rivelazione stia nello zigolo delle nevi, revenants, consustanziazioni, dottrina ubiquitaria, ataviche femmes fatales. Alla fine, in un’ultima surreale, agghiacciante quanto umoristica immagine non ci rimarrà che correre a gambe levate con Emve, coi lacci delle scarpe sciolti che sbattono sui talloni. Perché l’enfer è una cascina gelida ai confini del reale da cui proviene una risata agghiacciante e insostenibile.

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