
In Le streghe di Salem accade qualcosa che
solo i lettori di Stephen King possono riconoscere: il piacere di godersi le
parti riguardanti la vita quotidiana dei protagonisti, le parti non-horror, che
per come costruite diventano la cosa migliore della storia. Pensiamo a tutta la
sequenza iniziale che introduce Heidi: il suo appartamento arredato sui toni
del bianco, del rosso e del nero, il pannello sul letto illustrato con un
fotogramma del Viaggio nella luna di Georges
Méliès, Heidi che fragile e stanca si tira giù dal letto per fare colazione e
portare a spasso il cane per le strade desaturate di Salem. Una sensazione di
delicato spleen la avvolge nei suoi
movimenti per la città, la vediamo incedere lentamente, avvolta nel suo montgomery
psichedelico, aggrottare le sopracciglia o addormentarsi sulle note di All Tomorrow parties dei Velvet
Underground & Nico. Che meraviglia la ricostruzione della vita nella
stazione radio dove Heidi lavora (con le sapide incursioni trash-pop tanto care
a Rob Zombie) nel trio Big H insieme al di lei innamorato Whitey (Jeff Daniel Phillips, attore-feticcio di Rob Zombie) e Herman (Ken Foree, il mai
dimenticato Peter in Zombi di Romero).