lunedì 17 giugno 2013

Fine Impero di Giuseppe Genna (2013)

Narrare in un contesto diafano, proiettato, umbratile e fagocitante come il nostro ha bisogno di una prospettiva, di un punto di vista d’elezione, che sia in grado di coglierne le caratteristiche fugaci, spesso invisibili e soffuse. La scelta di quest’angolatura, di quest’apertura focale sul discorso narrativo è, oggi più che mai, impresa ardua, al limite della possibilità. Per questo motivo coloro che riescono nell'impresa pongono nelle mani del lettore un oggetto deflagrante, in grado di assorbirlo completamente. Sono pochi gli autori che riescono in quest’obiettivo, ancor meno quelli italiani. Se Don DeLillo, nel 2003, era riuscito scegliendo il fluire della limousine di Eric Packer come paradigma postumano e postcapitalistico attraverso cui narrare l’oggi (che è già passato e futuro nella pagina retroattiva di Cosmopolis), Giuseppe Genna, nel suo nuovo romanzo Fine Impero (appena uscito per Minimum Fax) sceglie come punto di vista - meglio sarebbe dire come origine di replicazione del reale - il dolore più assoluto avvertibile dalla consapevolezza umana. Nel caso di Fine Impero si tratta del dolore della voce narrante: intellettuale, scrittore prestato al periodismo di moda, annichilito e svuotato, dissimulante un vuoto senza remissione. Un punto di vista che attraversa, circolarmente come in plasmide batterico, l'«immaginario compresso» e sfiatato di Fine Impero, in cui strane manifestazioni del reale italiano d’oggi e del passato, orribili traumi e indicibili dolori personali (e per questo ecumenici e generazionali) si susseguono secondo un percorso che è via crucis in notturna. Diafane apparizioni, coagulazioni vivide e inondate di luce ultraterrena, sono attraversate dallo scrittore al fianco del potente e mellifluo zio Bubba, proiezione esso stesso (al limite del ventriloquismo) di un potere onnipresente che opprime e sfinisce e divora, insaziabile, la carne. Il consumo incessante avviene sotto l’occhio liquido degli schermi televisivi, essi stessi proiezione mordoriana d’immane potenza.

La chiesa di San Bernardino alle Ossa,
protagonista di una delle sequenze più intense di Fine Impero.
Mentre lo scrittore attraversa la Brianza (luogo inedito d’implosione del capitalismo occidentale di stampo statunitense) in uno dei SUV di zio Bubba, il ricordo (che come detto prima è sia personale sia generazionale) si coagula in interni familiari dei più terribili piuttosto che in visioni pop di grande impatto, visioni che nell'oggi sfiatato e reificato diventano leggendarie, avveniristiche e fatali. Giuseppe Genna le inserisce nella narrazione di Fine Impero attraverso le note, che usa come vera e propria arma Avant-Pop. Sono queste visioni che includono schegge d’immaginario televisivo già postumane, come Lucio Flauto e il suo Pomofiore o il wrestler André detto The Giant. Continuando sulle note merita menzione, per il forte impatto mesmerizzante, la sequenza che vede lo scrittore seguire Zio Bubba all'interno della chiesa di San Bernardino alle Ossa, a Milano. È questa per il lettore un’esperienza polisensoriale, unica nel suo genere, straniante nella visione della disposizione dei resti ossei come fregi del locale, l’odore, la caligine organica, l’incontro con il potere liminale ecclesiastico, celato e officiante, incarnato nell'abito cardinalizio, descritto anch'esso in una nota.
Andrebbe poi trattato in maniera approfondita l’approccio stilistico di Genna, il valore empatico e immediato del suo periodare, la sua capacità di fissare espressioni, concetti e sensazioni, in uniche frasi ecumeniche, il citazionismo (Shakespeare, Pascoli, Leopardi).

In definitiva Fine Impero è una visione «compressa» che deflagra sulla pagina, promettendo di continuare a espandersi al di là della stessa, per raggiungere continuamente e fissare il tramonto sulle rovine di fine impero, coincidenti, neanche a dirlo, con l’alba del nuovo impero.  

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