lunedì 31 ottobre 2011

Millennium. La prima stagione: depravazione umana e combattimento escatologico


Con Millennium (1996-1999) Chris Carter amplia l'universo di X-Files (già celebrato come fenomeno globale negli anni precedenti) traghettandolo verso la maturità. Lo fa attraverso la scelta di un protagonista, Frank Black - interpretato dal mitologico Lance Henriksen - più anziano del giovane e spesso impulsivo Fox Mulder, sposato e padre di una bellissima bambina. In Frank Black è sì presente l'intuizione di Mulder ma ausiliata dall'esperienza, il nostro è infatti un ex agente dell'FBI che lavora come consulente del gruppo Millennium, di cui fanno parte i migliori esperti nei diversi campi dell'indagine criminale. Il gruppo è per Frank una rete di sostegno esperienziale (metafora del World Wide Web), una tribù-comunità con cui Frank comunica continuamente attraverso un personal computer collegato alla rete (come l'ufficio di Mulder anche il sottoscala di casa Black è diventato un luogo seriale di culto).

 Millennium muove dall'Apocalisse di Giovanni, in cui la fine del mondo, il Giudizio Universale, è anticipata dal Regno dei mille anni. La matrice millenarista è messa in scena da Chris Carter tramite rivelazioni di puntata in puntata, soprattutto di stagione in stagione. Nella prima Frank Black, che possiede il dono di vedere "il male", di identificarsi con lo sguardo dei più violenti e malati assassini, è alle prese con la scellerata rappresentazione della depravazione umana in tutte le sue forme, declinata nella serie attraverso l'aumentare di delitti e violenze. Frank utilizza il suo dono per stilare un profilo dei diversi soggetti criminali (operazione svolta in X-Files da Mulder) mettendone in luce appetiti e prerogative in modo da anticiparne le mosse.  

Mondo Trasho di John Waters (1969)


Mondo Trasho è il primo lungometraggio di John Waters. Il regista di Baltimore si presenta sulla scena insieme alla scatenata banda dei Dreamland, un gruppo di amici con cui realizza le prime pellicole della sua carriera, quelle più sfrontate, violente e terroristiche (diremo a posteriori, confermati da A morte Hollywood). La gang dei Dreamland attraverso l'uso di un simbolismo demoniaco derivato da Kenneth Anger mette in scena una necessità di espressione “altra”, che esagera i simboli della borghesia (lezione mutuata e normalizzata poi dall'industria della moda), dissemina il rassicurante territorio suburbano di mostruosità, depravazioni, visioni lisergiche, blasfeme e fiabesche. Waters in Mondo Trasho dichiara tutti i suoi amati modelli: il già citato Kenneth Anger nell'appeal demoniaco del viaggio di Mary Vivian Pearce (che indossa una delle camicie di John Waters e neanche a dirlo legge Hollywood Babilonia), nell'uso dell'accostamento postmoderno di brani di classica, d'opera lirica e sfrenato rock'n roll come commento totalizzante al posto del dialogo in presa diretta. Jack Smith, Il vero e unico maestro dell'underground americano, citato in Mondo Trasho attraverso le note di camp esotico (nel tempo e nello spazio), nell'indugio sul dettaglio fisico, nel travestitismo. Pier Paolo Pasolini soprattutto in merito al rapporto con la simbologia religiosa e sovrannaturale e infine a Andy Warhol (i cui tratti fisiognomici sono ripresi nella figura dell'autostoppista nudo) in merito alla composizione dell'immagine, alla mitopoiesi della bad girl Divine e alle azioni ripetute nel tempo (es.: The bombshell che attende l'autobus alla fermata). 

mercoledì 26 ottobre 2011

Pink Flamingos di John Waters (1972)


Pink Flamingos – si sorprende ancora oggi il suo creatore John Waters – è ormai un cult assoluto che nei decenni ha generato per sé e per il suo regista un’infinità di etichette (citiamo su tutte quella di «Pope of trash») ponendosi come punto di non ritorno di un universo che non è solo underground ma che in realtà riguarda la cultura (cinematografica e quindi storica e politica) tutta. La temibile gang dei Dreamland guidata da John Waters realizza una pellicola che solo successivamente riconosceremo come proto-punk: i dialoghi-manifesto e le azioni terribili compiute durante la guerra per il blasone del “più disgustoso” ingaggiata da Divine e dai Marble sono intrattenimento realizzato ad hoc per quelle arrabbiatissime frange hippy che riconosceranno nella nascente cultura punk il proprio vessillo. Il pubblico di riferimento di Pink Flamingos altro non è che la fauna underground che abita le pagine del romanzo di Steve Erickson Zeroville e che vedrà negli orribili massacri della Famiglia Manson la fine di un’utopia lisergica. Pink Flamingos si colloca esattamente lì: nel passaggio alla rabbia e al rifiuto di ogni tipo di controllo sociale, soprattutto di quello perpetrato dai mass-media e dalle organizzazioni religiose. La coprofagia finale, il cannibalismo, l’esibizionismo demenziale en plein air, la violenza sessuale (e lo sfruttamento economico della stessa), l’omicidio “con sala stampa” altro non sono che i marcatori scelti da Waters e dai suoi Dreamland per offrire un prodotto cinematografico in grado di materializzare i tratti distintivi di questo tipo di pubblico.

martedì 25 ottobre 2011

X-Files: il valore narrativo e il piacere della lettura


Considero le prime sei stagioni di X-Files (1993-1999) – serie di culto creata dall’altrettanto mitologico Chris Carter – un prodotto a sé stante rispetto alle successive tre stagioni finali (e al film X-Files: voglio crederci del 2008).
Gli episodi che vanno dal 1993 al 1999 sono caratterizzati da un valore narrativo evidente, un’originalità e completezza tipici de letterario. In particolare essi hanno un rapporto imprescindibile con il genere ibrido dello Slipstream (in cui convivono ibridandosi i generi della science fiction, del fantasy e del grande canone letterario mainstream) e del New weird, sia per i modelli dai contorni indefiniti  che per l’impostazione formale di ogni episodio, ricco di dettagli e riferimenti. Basti pensare alla fotografia dai toni epici e freddi, alla musica di Mark Snow, alle sceneggiature di qualità, tutte caratteristiche che hanno fatto della serie un prodotto in grado di superare la prova del tempo.

lunedì 24 ottobre 2011

Carrie di Stephen King (1974)


Carrie è il primo romanzo di Stephen King a essere pubblicato. Fino ad allora lo Zio (come molti lettori affezionati sono soliti chiamarlo) aveva collaborato con molte riviste specializzate ma mai si era cimentato con una storia a più ampio respiro. La “brevità compiuta” di questi primi tempi di scrittura professionale caratterizza anche Carrie che per stessa ammissione di King era nato come racconto e solo successivamente fu ampliato e assunse il più ampio respiro della narrazione romanzesca. A distanza di anni (la prima pubblicazione è del 1974) Carrie è ancora considerata un'opera di culto e rappresenta un vero e proprio archetipo riproposto tutt’oggi in narrativa e al cinema: la giovane e goffa outsider, emarginata e derisa, proprio nel momento in cui si appresta al cambiamento fisico e al passaggio dall’infanzia alla pubertà prende coscienza dei propri poteri approntando una terrificante vendetta sulla società tutta in un incontenibile delirio suburbano. Il romanzo nasce da esperienze personali di Stephen King nell’insegnamento e dall’amore per il genere horror qui però reinventato e ibridato per restituire al lettore più percorsi: di genere, critico-narrativo, godibile e partecipe, sociologico, emotivo. Il personaggio di Carrie è iconografico, lo ha sottolinea lo stesso King nel suo saggio On Writing dicendo che, a guardar bene, tutti abbiamo conosciuto (o siamo stati) Carrie da giovani. Tratteggiato con naturalezza e senza alcuna leziosità il punto di vista della protagonista diviene il nostro: sfido chiunque a leggere le prime pagine senza avvertire tutto l’orrore di Carrie per quel rivolo di sangue sulla coscia durante la doccia mentre le compagne urlano in visibilio «tappala! Tappala!» lanciandole addosso una pioggia di assorbenti.

Carrie verrà portato sullo schermo da Brian De Palma (con una meravigliosa Sissy Spacek nel ruolo di Carrie), il quale si discosta in parte dal libro a partire dal finale “invidiato” da King fino ad arrivare alla fisicità della protagonista: rubizza nel romanzo quanto spigolosa nel film.

mercoledì 19 ottobre 2011

Dalla parte della regina: Nuovo Punk Story di John Waters (1977)

Parlando con John Waters di quella che è di certo la sua pellicola più cupa Desperate Living (1977) bisognerebbe provare a dire al regista di Baltimore che la scelta di puntare su una lettura politica della sua pellicola - arrivata in Italia con il titolo di Nuovo Punk Story con dialoghi a cura di Lidia Ravera – ci sembra davvero la più adatta. Di certo l'autore di Pink Flamingos e La signora ammazzatutti si passerebbe un dito sui baffetti à la Douglas Fairbanks e vi direbbe che «no honey» siete proprio fuori strada, aggiungendo poi che se proprio bisogna prender posizione lui ovviamente starebbe dalla parte della regina. Uscirsene così sarebbe tipico del genio camp di John Waters ma noi si rimarrebbe dell'opinione che Desperate Living, nella sua messa in scena fiabesca e orrifica, è in grado di restituire la straordinaria rappresentazione di un regime totalitario clientelare, disordinato e capovolto, basato sull'accettazione da parte dei cittadini delle sordide manie del sovrano.


martedì 18 ottobre 2011

Il Manifesto Avant-Pop di Mark Amerika


Di seguito la traduzione del Manifesto Avant-Pop redatto da Mark Amerika teorico e docente di Arte Digitale all’Università del Colorado e pubblicato sul sito web sperimentale ALT-X.


MANIFESTO AVANT-POP
IL PROGRAMMA IN DIECI PUNTI
di Mark Amerika

1. Ora che il postmodernismo è morto e noi siamo nel processo di seppellirlo definitivamente, qualcosa sta iniziando a prendere piede nell’immaginario culturale e propongo di chiamare questo nuovo fenomeno Avant-Pop.
2. Considerando che è vero che alcuni ceppi del Postmodernismo, Modernismo, Strutturalismo e Post-Strutturalismo, Surrealismo, Dadaismo, Futurismo, Capitalismo e Marxismo pervadono anche la nuova sensibilità, la maggiore differenza è che gli artisti che creano arte Avant-Pop sono figli dei Mass Media (ancor più di essere figli di genitori che hanno molto meno influenza su di loro). La maggior parte dei primi professionisti del Postmoderno, che sono arrivati alla coscienza attiva dell’età adulta negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, hanno cercato disperatamente di tenersi lontano dalla prima linea della nuova e potente Realtà Mediagenica che è rapidamente diventata il luogo dove la maggior parte del nostro scambio sociale stava avvenendo. Nonostante la sua precoce insistenza a restare intrappolato nei presupposti di auto-istituzionalizzazione e incestuosità del mondo accademico e del mondo dell’arte elitaria, il postmoderno si è trovato sorpassato dal motore dei media popolari che alla fine lo ha ucciso e ora, dai suoi resti, è nato l’Avant-Pop.

lunedì 17 ottobre 2011

Only Recensioni To Play With: intenti


Come ogni tipo di evoluzione digitale anche Only Recensioni to play with nasce dall'esigenza di ordine oltre che dal desiderio di espressione e continuum. Sono trascorsi otto mesi dalla prematura chiusura della Guida Cultura Avantpop nata e cresciuta in Dada con l'obbiettivo di portare nella discussione fra i lettori italiani le istanze del Manifesto di Mark Amerika.
Oggi Only Recensioni to play with riprende quello scopo cercando perseguirlo attraverso la scelta della recensione come strumento d'elezione, ampliando altresì i domini di interesse, moltiplicandoli.

Questo è solo il prossimo punto della retta funzione.

Salvatore Piombino.