mercoledì 19 ottobre 2011

Dalla parte della regina: Nuovo Punk Story di John Waters (1977)

Parlando con John Waters di quella che è di certo la sua pellicola più cupa Desperate Living (1977) bisognerebbe provare a dire al regista di Baltimore che la scelta di puntare su una lettura politica della sua pellicola - arrivata in Italia con il titolo di Nuovo Punk Story con dialoghi a cura di Lidia Ravera – ci sembra davvero la più adatta. Di certo l'autore di Pink Flamingos e La signora ammazzatutti si passerebbe un dito sui baffetti à la Douglas Fairbanks e vi direbbe che «no honey» siete proprio fuori strada, aggiungendo poi che se proprio bisogna prender posizione lui ovviamente starebbe dalla parte della regina. Uscirsene così sarebbe tipico del genio camp di John Waters ma noi si rimarrebbe dell'opinione che Desperate Living, nella sua messa in scena fiabesca e orrifica, è in grado di restituire la straordinaria rappresentazione di un regime totalitario clientelare, disordinato e capovolto, basato sull'accettazione da parte dei cittadini delle sordide manie del sovrano.



Ma andiamo con ordine. Tralasciando la lettura di genere (che pure ha valore) sembra ancora utile focalizzare l'attenzione sulla rappresentazione dei ruoli sociali entro e fuori il regime distopico di Mortville. Ruoli che, neanche a dirlo, vengono interpretati dalla scatenata gang dei Dreamland, qui purtroppo non al completo perché Divine in auge con il suo spettacolo teatrale Women Behind Bars rinunciò a qualsiasi ruolo nel film e David Lochary, unica star maschile delle pellicole di Waters, era appena morto di overdose lasciando nello sgomento gli amici e colleghi di sempre. 

Mink Stole nel ruolo di Peggy Gravel
La pellicola si apre con una visione in interni, uno spaccato di vita suburbana che racconta la famiglia come culla e incubatrice d'elezione di tutte le paranoie: l'inetto e svampito Bosley Gravel (il caratterista George Stover) ha tirato fuori dall'istituto di sanità mentale la propria moglie Peggy (una straordinaria Mink Stole, qui al suo meglio) convinto che la serenità di una ritirata vita casalinga possa giovare al suo delirio schizofrenico-paranoide più delle cure mediche. Avrà di che pentirsene perché la nostra, in un allucinato sproloquio che ha fatto storia, non esiterà a ucciderlo con la complicità della governante di duecento chili Grizelda (la black mama Jean Hill). Peggy – nonostante la metaforica condizione di essere zoppa - in un folle e sincopato percorso all'interno della propria casa sciorina in pochi minuti tutte le paure-meme tipiche della middle-class, dall'ossessione per la proprietà privata al sesso, dal terrore della strada al furto: trova i figlioletti in età prescolare che giocano al dottore e urla di orrore convinta che la figlia di cinque anni sia incinta, si scaglia dalla finestra contro i figli dei vicini che stanno giocando a baseball in giardino accusandoli di essere dei capelloni attentatori, infine in preda a crisi sempre più violente colpisce il marito che verrà poi finito dal facesitting di Grizelda (trovata qualche minuto prima dallo stesso signor Gravel a rubare in casa).

La gente di Mortville
Adesso Peggy e Grizelda sono due fuorilegge e in fuga attraverso il bosco («Dove mi hai portata eh Grizelda? Ma lo fai apposta? Lo sai che la natura mi dà il voltastomaco! […] Ma perché non radono al suolo le foreste? Io voglio che il cemento cancelli ogni filo d'erba in tutto il mondo!» urlerà Peggy per tutto il tragitto) cercano riparo a Mortville: una città fuori dal reale (e dalla sua giustizia) dove ogni crimine, dal furto all'omicidio, viene mondato purché si accetti di vivere sotto la scellerata e ripugnante dittatura dell'altrettanto orribile regina Carlotta (interpretata dall'immensa Edith Massey la cui voce roca ben si adatta al personaggio della dittatrice). Carlotta vive chiusa nel suo bidimensionale castello di cartapesta (ecco qui un'altra ossessione umbratile di Waters: Walt Disney), ornato da una pinacoteca che accoglie i ritratti dei suoi miti ispirativi: Charles Manson e Adolf Hitler. All'interno dei suoi appartamenti ella pensa solo a strafogarsi di cibo e costringere le proprie guardie a spettacolini hard in cui a turno devono spogliarsi e soddisfare i suoi desideri sessuali. Nulla viene fatto per i cittadini (che dal canto loro ripongono le proprie speranze di fortuna soltanto in un'eventuale vincita alla lotteria) anzi, nella foga di punire la propria figlia, la principessa Coo-Coo (Mary Vivian Pearce) colpevole di essersi innamorata di uno spazzino nudista, Carlotta deciderà addirittura di diffondere nella popolazione il virus della rabbia (in un geniale e grottesco ribaltamento delle paure post-Vietnam riguardanti il bioterrorismo). A preparare la soluzione letale ci penserà Peggy che, assunta al ruolo di figlia adottiva di Carlotta, vediamo preparare la disgustosa miscela vestita come la strega di Biancaneve.

John Waters recupera i miti umbratili di sempre, a partire da Il mago di Oz, per diluirli in quella che lui stesso definì come «una mostruosa commedia-favola che tratta di angosce mentali, invidia del pene e di corruzione politica» ed ecco che anche Peggy e Grizelda come Dorothy dovranno pagar dazio prima di poter entrare a Mortville: verranno molestate da un poliziotto feticista per ottenere le indicazioni, poi saranno costrette a stravolgere la propria immagine per adattarsi alle usanze della «cittadina della morte».

A Mortville si vive nel brutto, alle più becere condizioni di vita - in laide baracche (nella finzione watersiana deliziosamente arredate da quel genio camp di Vincent Peranio), non ci sono strade e ci si nutre di vermi e ratti, ma davvero nessuno sembra lamentarsi. Il mutuo accordo con la regina Carlotta è basato sull'accettazione da parte della popolazione di vivere senza alcuna regola tranne quella di sottostare ai folli decreti della regina. Decreti emanati solo per il suo diletto, come quando nella fantomatica «giornata del gambero» costringerà la popolazione a camminare, vestirsi e vivere al contrario (altra chiara metafora distopica e scellerata).

Edith Massey nel ruolo della
Regina Carlotta
Carlotta vive chiusa nel suo bidimensionale castello di cartapesta (ecco qui un'altra ossessione umbratile di Waters: Walt Disney), ornato da una pinacoteca che accoglie i ritratti dei suoi miti ispirativi: Charles Manson e Adolf Hitler. All'interno dei suoi appartamenti ella pensa solo a strafogarsi di cibo e costringere le proprie guardie a spettacolini hard in cui a turno devono spogliarsi e soddisfare i suoi desideri sessuali. Nulla viene fatto per i cittadini (che dal canto loro ripongono le proprie speranze di fortuna soltanto in un'eventuale vincita alla lotteria) anzi, nella foga di punire la propria figlia, la principessa Coo-Coo colpevole di essersi innamorata di uno spazzino nudista, Carlotta deciderà addirittura di diffondere nella popolazione il virus della rabbia (in un geniale e grottesco ribaltamento delle paure post-Vietnam riguardanti il bioterrorismo). A preparare la soluzione letale ci penserà Peggy che, assunta al ruolo di figlia adottiva di Carlotta, vediamo preparare la disgustosa miscela vestita come la strega di Biancaneve.
Peggy vestita come la strega di Biancaneve
Il finale – bambine e bambini – altro non è che un apocalittico happy ending avvelenato. Le ragazze di Mortville hanno già ucciso Peggy - «spara! Ma non ucciderai tutti i padroni e rimarrete sempre schiavi!» urlerà profeticamente prima di morire – e hanno invitato tutta la cittadinanza di Mortville a nutrirsi della propria regina. Gli insorti sembrano però aver dimenticato che la principessa Coo-Coo costretta a un'iniezione di rabbia aveva precedente morso la madre e che quindi le sue carni risultano irrimediabilmente infette. È il germe dittatoriale che mostra tutta la sua letale e silenziosa virulenza. Sgomenti ne prendiamo atto mentre Coo-Coo muore con la bava alla bocca sul piatto di portata dove è deposta la madre e una nuova regina viene incoronata fra le urla di giubilo della folla...



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