sabato 17 dicembre 2011

La signora ammazzatutti di John Waters (1994)


Con Cry Baby John Waters si era rifugiato a Baltimore per esorcizzare la scomparsa di Divine. A quattro anni di distanza è ancora lì per realizzare la sua nuova pellicola: La signora ammazzatutti. Grottesca, spassosissima e profetica critica all’imperante minimalismo morale della classe borghese. Attitudine fatta di protezionismo dell'interesse privato, ossessione per una perfezione realizzabile solo fra le mura di casa e smodata ambizione nei confronti dell’arena mediatica e televisiva. Come sappiamo la poetica di Waters vuole molto di più di una semplice critica sociale ed ecco che arriva il ribaltamento, la messa in scena, l’ironia e la consueta pioggia di citazioni: sotto l’aspetto di una famiglia pop al limite della réclame (non a caso Roger Ebert nella sua recensione al film cita Le avventure di Ozzie e Harriet, biondissimi e perfetti interpreti del sogno americano) si nasconde un insano e folle segreto. Beverly Sutphin (Katlheen Turner) che vive a Baltimore in un microcosmo dai colori pastello insieme al marito dentista e ai due figli Misty (Ricki Lake) e Chip non è la casalinga e vicina che tutti credono, è in realtà una lucida e feroce serial killer.


una famiglia pop al limite della réclame
La nostra irreprensibile housewife (secondo voi chi ha ispirato a Marc Cherry il personaggio di Bree VanDerKamp?) da tempo appassionata alle vicende dei killer seriali (che approfondisce grazie a  carteggi intrecciati con gli interessati) cerca di riproporne l’operato per cancellare tutto ciò che incrina la perfezione del suo minimalismo morale: tormenta di telefonate la vicina divorziata Dottie Hinkle (Mink Stole) perché le ha rubato il posto al parcheggio del supermercato, uccide il professore che critica la passione per i film horror di Chip, catapulta il ragazzo che tradisce Misty in una citazione di Blood Feast, e così via fino al processo mediatico da cui, siamo certi, Beverly  verrà riconosciuta quale l'immensa star che è (come accadrà ai suoi "coetanei" Mickey e Mallory di Natural born killers). Waters squarcia - con le forbici rubate dalla cassetta del cucito di Beverly - il velo di superficialità che ammanta la rappresentazione della vita suburbana, sbandierato simbolo di sicurezza per mostrarne con ironia per nulla didattica le grottesche forme di vita che la abitano: dalla cena disgustosa dei genitori di Scotty, alla mania della signora Jensen di farsi leccare i piedi dal cane mentre guarda Annie in TV.

Non a caso per tutta la pellicola il televisore è sempre acceso e scandisce i ritmi della vita quotidiana dei protagonisti in tutte le sue forme: dal talk show a La routa della fortuna passando per l’home video (cult la scena in cui Scotty si masturba guardando La chiamavano Susy Tettalunga). Sarà inoltre la televisione a salvare Beverly dalla sedia elettrica arrivando a edulcorare la condanna e consegnandola alle masse come novella icona mediatica degna del migliore merchandising.

In definitiva una pellicola profetica e imperdibile, una black comedy sempreverde e ricca di suggestioni ancora attuali.

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