Il mare arriva a mezzanotte conferma la maestria sublime e immaginifica di Steve Erickson. Il romanzo si presenta come un’ampia e rarefatta descrizione del caos postmoderno che mostrando i suoi connotati di “rete emozionale” diviene reperto allo stesso tempo fossile e futuribile. I molti personaggi sono fra loro legati, o meglio linkati, come in una nuova e ipertestuale epopea. Non si tratta solo di legami di tipo causale ma di veri e propri riferimenti concettuali che riconducono i diversi protagonisti a categorie più ampie e generali. Kristin, la giovane e burrosa «musa del caos», Angie la ninfa perduta, Louise la terrorista dell’erotismo e persino Marie la salvifica martire, condividono i propri percorsi: la maternità, in particolare l’impossibilità di confrontarsi con essa. Le accomuna anche una certa condizione di fuga e il desiderio di ricerca (sia che si tratti di un sogno piuttosto che di una espiazione). Controparte della stessa realtà «caotica» sono i personaggi maschili: l’Occupante, teorico del caos, Carl il commediografo fallito e cartografo dell’imminente apocalisse, Mitch il pornografo dagli appetiti violenti. Essi risultano ancora una volta legati solo apparentemente da rapporti causali e si muovono secondo una logica allo stesso tempo distruttiva e salvifica, non scevra da una certa componente tragica.
Ne Il mare arriva a mezzanotte sia il tempo che lo spazio si muovono con disinvoltura come i moduli mobili del futuribile Hotel Ryu del Dance Dance Dance di Murakami Haruki, ed è facile che si materializzi nei maleodoranti sobborghi di Los Angeles piuttosto che nella Parigi della contestazione giovanile, nella Londra lasciva e swinging piuttosto che nella provincia americana, in un loop immaginifico che anticipa la “teoria dei frame” di Zeroville.
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