Visionario,
messianico, inaspettato, lanciato alla massima velocità in una nuvola di ocra e
carminio, ecco cos’è Mad Max: Fury Road, pantagruelico
progetto di George Miller che
riporta dopo trent’anni sul grande schermo Max Rockatansky e con lui
l’immaginario impazzito e post apocalittico che ha fatto scuola per tanto
cinema a venire.
Mad
Max: Fury Road non è
un mero reboot che vive dell’afflato
nostalgico dei vecchi fan della saga ma un aggiornamento dell’immaginario che
propone. Un’operazione che oggi possiamo ammirare sul grande schermo come estrema
e meravigliosa, sia sotto il punto di vista della scrittura sia della regia. Se
l’obiettivo era di portare nuovi spettatori ad appassionarsi al mondo «ucciso»
e dissennato di Mad Max, possiamo definirlo ampiamente
raggiunto.
Le
tragedie e i morti delle pellicole precedenti oggi si manifestano intorno a Max
–interpretato per la prima volta da Tom Hardy - come pericolose allucinazioni sempre pronte a
ossessionarlo durante il suo cammino. Il Max di Fury Road possiede le caratteristiche mostrate per la prima volta
in Il guerriero della strada: un uomo
che ha rinunciato alla sua umanità, trincerato dietro il bieco opportunismo con
l’unico obiettivo di continuare a vivere e quindi a muoversi sulla strada.