«Perché chi non ama la ragazza morta?»
Quello
che ha fatto Gillian Flynn con il
suo L’amore bugiardo – Gone Girl (pubblicato in Italia da Rizzoli) ha
dell’incredibile. È riuscita a superare e in un certo senso risolvere le
istanze che le avanguardie letterarie Avant-Pop – da Paul Auster a Don DeLillo,
passando per Steve Erickson, Tom Robbins e Mark Leyner - ci avevano messo di
fronte: la deriva dei generi (con una nota particolare sul noir), il confronto impazzito coi modelli letterari classici, le
immani risorse della cultura popolare, l’iperrealtà mediale.
Ne L’amore bugiardo questo avviene in una
grande narrazione a due voci. Due punti di vista si alternano costruendo un
labirinto che mette alla prova la capacità empatica del lettore e lo sfida a un
grande, spassoso e agghiacciante gioco di discernimento. Il romanzo si muove attraverso
la visione multipla di Nick Dunne e Amy Elliott (Dunne), ognuno dei quali
presenta la storia secondo la propria versione, percorrendola sul
piano temporale, con Amy che nella prima delle tre parti in cui è diviso il
romanzo propone la sua voce attraverso la pagina di diario. Brillante l’idea
dell’editore italiano di affidare a due traduttori diversi le voci dei
protagonisti: Nick è tradotto da Francesco Graziosi e Amy da Isabella
Zani.
Ne L'amore bugiardo la scelta
della narrazione in prima persona, aiuta il lettore ad avvicinarsi il più
possibile a due fra i personaggi meglio tratteggiati della narrativa
contemporanea. La loro umanità, che conosciamo fin nei tratti più meschini,
folli e pericolosi (ma mai mediocri), ci si presenta senza filtri, se non quelli
che i personaggi stessi vogliono
usare. Solo due protagonisti con una la lucida coscienza di sé come Amy e Nick
possono descriversi, raccontarsi, addirittura «costruirsi» come fossero un
prodotto. Anche la percezione reciproca – alla base del romanzo – diventa un
raffinato gioco di rappresentazione e costruzione cui il lettore, a volte
interpellato direttamente dai protagonisti – come quando Nick deve fargli una
confessione che potrebbe cambiare il modo in cui lo ha conosciuto o quando Amy rivela
di non avere paura del sangue - non vorrà sottrarsi per niente.
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L'autrice Gillian Flynn. |
Questo
estremo gioco di costruzione del sé individua – sempre nelle parole dei due
protagonisti – l’inizio della storia e, senza dubbio, la sua fine.
Così Amy:
Così Amy:
Avete
presente? Vi mostrate finalmente per quel che siete alla vostra anima gemella,
al vostro compagno, e scoprite che non gli piacete. Così è cominciato l’odio.
Ci ho pensato molto, e sì, credo che sia cominciato da lì.
La grande
capacità di Gillian Flynn sta nel proporre la ricca e complessa architettura
del suo romanzo al lettore divertendolo attraverso una prosa brillante e
disinibita, un umorismo sardonico e la rottura della fondamentale regola del whodunnit (citato a mo’ di sberleffo
come titolo di un blog cui Nick rilascia un’intervista da ubriaco).
La
splendida agnizione nel bel mezzo del romanzo non solo ci fa saltare dalla
sedia ma ci porta dritti in un territorio noir
nuovo di zecca, dove le emanazioni del mindgame
messo a punto nella prima metà del romanzo diventano una sfida per la
sopravvivenza e la supremazia delle intenzioni (del tutto poietiche e creative)
che abbiamo conosciuto fino a quel momento.
I
«pensieri come scolopendre» che percorrono le pagine de L’amore bugiardo, mentre il caldo asfissiante dell’estate in
Missouri ci obnubila e rallenta, si muovono ipnotiche verso la risoluzione
degli eventi, percorrono gli indizi disseminati e stratificati e le decine di
riferimenti, stilemi e registri che aumentano il valore del romanzo.
L’iperrealtà
mediatica non solo permea, segue, persino indirizza le scelte dei personaggi e
le svolte improvvise della vicenda, ma è parte integrante, nel modo più intimo
e inconscio, dell’umanità di tutti i personaggi. Nick, il suo avvocato, i suoi
suoceri - «la loro storia d’amore fa parte del marketing» ci racconterà la
figlia - e soprattutto Amy, avvertono se stessi come un prodotto mediagenico,
una proposta al pubblico in grado di modificare se stessa in caso di bisogno.
Queste le parole di Nick:
Queste le parole di Nick:
In quest’epoca è molto difficile essere
una persona, una persona reale e autentica anziché un fascio di tratti
caratteriali selezionati da un generatore infinito di personaggi.
Amy è
cresciuta con l’unico confronto della sua omonima controparte letteraria, la
protagonista dei romanzi per ragazzi scritti dai suoi genitori:
I miei si sono sempre preoccupati che io
potessi prendere le avventure della loro creatura di carta troppo sul
personale. Non mi sfugge, tuttavia, che ogniqualvolta io mando in vacca
qualcosa, Amy fa esattamente la stessa cosa alla perfezione […]
Questo l’ha
portata a sviluppare un originale (leggeremo quanto pericoloso) modo di
confrontarsi con gli altri, di sintonizzarsi sulle aspettative e i desideri
altrui, impazzendo di rabbia se dopo l’estenuante e certosino lavoro di
produzione identitaria la reazione non è quella sperata.
Dalla
descrizione della provincia americana dopo la crisi del 2008 ai riferimenti
alla cultura vittoriana, L’amore bugiardo
si offre a più di una lettura se si ha voglia di superare il solo brivido
del thrilling. Pensiamo alla presenza
di Mark Twain e al gotico americano: Amy si ritrova a pochi passi da Hannibal,
dove crebbe Twain, suo marito Nick possiede «l’accento ondulato e fluviale»
della regione (non vi sembra quasi di risentire Tom, zia Polly, Becky e Sid?). Il
Mississippi che permea tutta la visione - «c’è il fiume ovunque vada» dirà Amy
messa alle strette - l’idea seminale dell’inscenare la propria sparizione per
osservarne gli effetti da lontano.
L’amore bugiardo è anche una delle migliori e più
brillanti rielaborazioni contemporanee dell’eredità hitchcockiana. Fantasmata,
indizi stratificati, identità sostituite, ritorni. Possiamo solo immaginare
cosa avrebbe fatto il padre de La donna
che visse due volte con un personaggio come Amy Elliott Dunne.
Sempre attratto da una forma di femminile liminale e postumana (Ellen Ripley, Lisbeth Salander, beh sì anche Madonna) è stato David Fincher a ridurre per il cinema il romanzo di Gillian Flynn (che ha steso la sceneggiatura), portando sullo schermo la ferina e letale Amy, interpretata magistralmente da Rosamund Pike.
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