martedì 24 febbraio 2015

Esordi: La Demolizione del Mammut di Giorgio Nisini (2008)

Leggere la Demolizione del Mammut (Giulio Perrone Editore) primo romanzo (e primo volume della Trilogia dell'incertezza) di Giorgio Nisini, è come osservare col fiato sospeso il tuffo di un atleta dall’alto della sua piattaforma. L’attesa, la muta aspettativa e infine lo stupore che ti lascia immobile di fronte alla riuscita dell’esercizio. Pagina dopo pagina, osserviamo curiosi lo svolgersi della vicenda, cercando di prevedere le mosse dei personaggi per venire puntualmente smentiti con una buona dose di sopresa.

Il protagonista (di cui non conosceremo mai il nome, ndr) de La demolizione del Mammut è un rampante architetto a capo di una grande azienda di decostruzioni, convocato nella sua cittadina natale, l’immaginaria Varziale, per portare a termine un grosso progetto: demolire un enorme ospedale – il Mammut del titolo – in parte mai completato.

Qualcosa però si nasconde tra le mura dell’edificio, nei corridoi impregnati dall’odore di alcol e medicinali, dietro porte chiuse a chiave, fra le corsie affollate da decine e decine di degenti con altrettante storie da narrare. Il protagonista, l’antiarchitetto (come viene definito dall’autore) ne è cosciente perché proprio in quell’edificio è custodita la propria, dolorosa, memoria personale, sepolta ma integra, pronta a deflagrare alla prima occasione.

Dal suo arrivo a Varziale il Nostro verrà a contatto con una nutrita fauna locale fatta di politici, addetti ai lavori e degenti, fra cui spiccano per bellezza e interesse l’ingegnere Milli, personaggio di «almodovariana memoria» (Deidier), malinconica e fluorescente nei suoi abiti spigolosi e colorati, una donna legata al passato che porta su di sé il peso di un dolore personale legato al Mammut. Inizialmente ostracizzata dal protagonista l’ingegnere Milli si rivelerà essenziale per il disvelamento finale. Poi, Carlotta, la giovane volontaria che sembra vivere una seconda vita dopo un misterioso incidente da cui è uscita con il volto irrimediabilmente sfregiato. Chi è Carlotta? È un angelo caduto ormai rassegnato o una coraggiosa vendicatrice? Molti i lati bui che la contraddistinguono, illuminati solo nel finale, durante la definitiva demolizione del Mammut.


Sempre elegante, con un raro rispetto per la lingua italiana, la scrittura di Giorgio Nisini porta il lettore a sfiorare le superfici con la propria mano, non importa che siano di materiale edile o vivo (e malato) epitelio biologico, perchè la commistione fra le due nature è dietro l’angolo. Che cos’è poi la demolizione se non il naturale processo fisiologico del ricambio cellulare sulla superficie della pelle?


Splendida la chiusura del romanzo: un salto, un volo, un tuffo perfetto e senza schizzi, una metafora che abbraccia l’incipit del racconto chiudendone il ciclo vitale.

martedì 17 febbraio 2015

Lacrime, sangue e sudore nel double-time swing di Whiplash




Cosa ne è stato di quel «Voi fate sogni ambiziosi, successo, fama, ma queste cose costano ed è esattamente qui che s’incomincia a pagare, col sudore!» che Lydia Grant scandiva con lo sguardo fisso in camera all’inizio della puntata, nel telefilm di culto Fame – Saranno Famosi? Lo racconta oggi il giovane regista Damien Chazelle che nel suo Whiplash riporta lo sguardo cinematografico sulla New York delle scuole di arti, musica e spettacolo. Dimentichiamo inni liberatori, cori e ballerini fra i taxi gialli, la New York di Whiplash è uno spazio mentale - osservato attraverso la soggettiva cinematografica del protagonista Andrew Neiman (Miles Teller) - in cui mettere in scena la tensione violentissima e i pericolosi percorsi che siamo in grado di scegliere per raggiungere i nostri obbiettivi.
Una luce materica e livida illumina le aule del conservatorio in cui Andrew si muove, sempre isolato, la sua camera spoglia al dormitorio, il cinema che frequenta con il padre. È lo sguardo di Andrew che decide cosa illuminare, come un enorme occhio di bue sul palco della Carnegie Hall che mostra solo ciò che vale la pena percepire. Andrew vuole diventare il miglior batterista di New York («e quindi del paese» aggiungerebbe con voce cavernosa il co-protagonista J. K. Simmons) per questo s’iscrive al conservatorio di New York, l’unica scuola che può aiutarlo a raggiungere il suo obbiettivo. Durante le lezioni e le sessioni di prova Andrew ignora compagni di corso e colleghi.  Riesce a instaurare un contatto visivo solo con il kit della sua batteria, con i dischi, i libri e le immagini del suo amato Buddy Rich e ovviamente con lui, il mefistofelico e teutonico maestro e direttore d’orchestra Terence Fletcher (interpretato con calibrato sadismo dal caratterista J. K. Simmons), che l’ha prelevato dalla classe del primo anno per portarlo nell’inferno sublime della sua Studio Band.