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Una supernova su Riccione. |
Dopo
l’uscita dell’ultimo romanzo di Isabella Santacroce, il magnifico Supernova (Mondadori) mi aspettavo di vedere il viso della scrittrice riccionese,
sublimato dal trucco che le fa da difesa e dissimulazione, sulla copertina di
«Rolling Stone». Supernova, che
inaugura la nuova Trilogia di Eva è una stupenda ballata rock, dove l’uso
della lingua italiana assume sempre più una forma ritmica peculiare. La prosa
di Isabella Santacroce si dilata e comprime come una serie di note, vergate con
grande ispirazione dalla sua compositrice/autrice.
In Supernova troviamo l’uso della metafora
in trasfigurazioni che sono di volta in volta fiabesche, sfrenate e dolorose.
Metafore dall’incredibile potere evocativo che ampliano d’improvviso
l’orizzonte narrativo del brano in cui sbocciano. Dall’arrivo della non-madre
di Dorothy a Milano – una città che farà da ventre ignavo e scellerato per i
tre giovani protagonisti – fino all’adolescenza tradita da un’infanzia di
rifiuti, seguiamo il canto di Dorothy nella descrizione della sua parabola
ascensionale, verso l’esplosione nella luce più accecante auspicata dal titolo.
Così Dorothy,
ancora bambina, percepisce Milano:
C’era
odore di campagna e violenza, gente che coltivava la terra e poi i delinquenti.
Contadini e banditi. Un paesaggio diviso, e la povertà come un muro.
La
stalla, i muggiti, le auto rubate, le scritte sopra al cemento, il coprifuoco
la sera, e lo sguardo di persone che sembravano sempre fuggire.
L’assenza
di colore nei viali, fari accesi nei tramonti mancanti di sole, la mano di mia
madre in quel freddo acceso dei palazzoni che sembravano ghiaccio annerito, e
poi il caldo ritrovato aprendo la porta di casa.
Il suo
diventare una stella degenere attraverso l’assenza di una madre dal cuore
selvatico, «mai addomesticato dall’amore», la percezione della propria
androginia, il desiderio di affetto che s’intreccia a quello di degenerazione (una
supernova deve pur bruciare per produrre tutta quella luce), il ricordo poetico
dell’amore puro per Eva che a scuola dona a Dorothy il talismano-piuma cui
ancorarsi durante le successive discese agli inferi e poi la comunione con
Divna e Thomas.
In Supernova nel
momento in cui la fiaba reiterata de Il
mago di Oz - unico momento di incontro con l’amore materno, posticcio e
narrativo – svanisce «la poesia impiccata al soffitto», Dorothy inizia il suo
percorso per diventare di «gomma scheletrica». La follia che Dorothy percepisce
è l’ampio movimento di una degenerazione centripeta che riguarda la realtà tutta:
la prostituzione materna che sbiadisce gli illogici e sognanti primi tempi a Milano, il denaro che cura, obnubila, tradisce e sfigura, che
immane seduce, permea e regna su una città vorace, carnivora e insaziabile. In
una realtà ormai alla deriva, dilaniata in mille brandelli, esplosa in
centinaia di schegge vorticanti come nell’uragano che fa volare la casa della
Dorothy di Baum, i giovani protagonisti di Supernova
diventano il riflesso di alcuni di questi frammenti: Dorothy, un
contemporaneo Tadzio in giacca Vivienne Westwood «Diceva che assomigliavo a
qualcuno: Venezia, un ragazzino biondo, un romanzo», Divna una lolita dark e scellerata, Thomas un Justin
Bieber, emotivo e insicuro con gli Air nelle cuffie.
Prima che
inizino le discese agli inferi costituite dalle sessioni di prostituzione
minorile sotto l’egida della ricca Lucrezia, Dorothy sogna un’adolescenza
normale per sé e per i suoi amici, una normalità che non può che essere
fittizia e mutuata dal cinema e della televisione:
Sarebbe
bello, pensavo, uscire una sera, noi due, insieme a Divna. Non so, forse un
cinema, e magari comprare pop-corn, Coca-Cola, diventare adolescenti
spensierati, normali. Guardare un film divertente, Thomas non triste, perché in
fondo doveva esserlo molto.
Supernova
rappresenta una delle prime e più lucide rappresentazioni in letteratura
di un processo in atto da almeno un decennio: la percezione totipotente dei
caratteri sessuali e della bellezza degli adolescenti. Se media vecchi e nuovi
propongono una standardizzazione omogenea della bellezza, gli adolescenti hanno
già da tempo iniziato a percepirsi nell’unicità e nella diversità che li
contraddistingue.
Così
Divna su Dorothy:
Divna
ha chiuso gli occhi, poi ha detto anche così ti vedo, e non vedo un maschio o
una femmina, vedo te che sei tutto, anche nel buio.
In
definitiva Supernova segna un nuovo e importante movimento nella carriera
di Isabella Santacroce, un’autrice che ha segnato la narrativa italiana, sia stilisticamente sia in
termini di immaginario. Una rappresentazione lucida, poetica e dolorosa di una
generazione alla deriva che in preda al panico e alla follia degenere divora la
carne della propria progenie.
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