giovedì 1 dicembre 2011

Polyester di John Waters (1981)


Una rassicurante veduta aerea della zona suburbana, luminosa e colorata, introduce - complice il tema didascalico e languido cantato da Debbie Harry e Tab Hunter - lo spettatore all’interno dell’estetica melò di Polyester, una nuova e più matura prova di John Waters che adatta le sue istanze irriverenti e rivoluzionarie al servizio di una produzione più matura e popolare.
In Polyester Waters opera all’interno dell’immaginario melò, costruito e reso celebre da Douglas Sirk, ribaltandone stilemi, personaggi e movimenti narrativi per raccontare l’allucinato microuniverso di provincia, costruito sul cattivo gusto, sui cardini pragmatici e consolatori del cheap, del camp e del trashy. la protagonista Francine Fishpaw (letteralmente “zampa di pesce”) è una totemica desperate housewife ante litteram, esasperatamente remissiva e timorata nonostante gli introiti della sua famiglia provengano dal cinema porno gestito dal marito. L’operazione di Waters nella costruzione del personaggio di Francine è inaudita: pone al centro della conservatrice realtà suburbana (siamo ancora una volta a Baltimore) un travestito di quasi duecento chili, del tutto credibile nel ruolo della casalinga afflitta da problemi che dalle privatissime camere male arredate della sua casa diventano pubblici. Il rapporto interno - esterno, privato-pubblico è centrale in Polyester e sarà approfondito nelle future pellicole di Waters: Hairspray (l’emulazione e il modello televisivo), La signora ammazzatutti (il processo mediatico), Pecker (il rapporto con la fama). Il minimalismo morale di Francine è estremizzato, lei vorrebbe solo vivere una vita semplice, appunto suburbana, allietata da pic-nic insieme all’amica Cuddles (una cameriera arricchitasi interpretata dalla mitologica Edith Massey) e gratificata dai figli, invece deve confrontarsi con l’onta televisiva che racconta delle proteste nei confronti del cinema porno di suo marito, che stringe il cerchio attorno al maniaco feticista che pesta i piedi in giro per la città (suo figlio). A tutto ciò si aggiungono le continue umiliazioni verbali e fisiche cui Francine è sottoposta dalla figlia delinquente, dalla madre priva di scrupoli, e non ultimi dal marito e dalla di lui amante (Mink Stole!) che in braghe di tela e reggiseno (rigorosamente di poliestere) la bersagliano di scherzi telefonici. Ovviamente a nulla varrà la sua invocazione-manifesto (che ribalta la profezia warholiana) «Vi prego non voglio finire in televisione!».


Francine la casalinga sfoglia gli impegnati Chaiers du Cinéma
Il bersaglio della pellicola è proprio il minimalismo morale della borghesia suburbana. La mostruosità non è più da ricercare nel lisergico popolo borderline di Mondo Trasho, essa si muove fra le mura domestiche e le ceramiche pittate comprate in saldo, e cosa più terrificante la sua visione sui temi capitali è la più accreditata: aborto, divorzio, razzismo, religione (la figlia di Francine dopo aver definito il feto che porta in grembo “un cancro” è posta sul carro della vergogna dalle suore da cui è stata relegata), le perversioni sessuali (sublimate in maniera abnorme nell’arte e nell’artigianato).  
 Siamo di fronte a una pellicola Avant-Pop, non dimentichiamolo, ed ecco, infatti, i generi moltiplicarsi, ibridarsi e andare alla deriva. Relitti culturali e pop rendono vitale la pellicola come le braci di un vulcano silente ma in attività: il giallo, il gore (Waters è pur sempre un discepolo di H. G. Lewis!), e ovviamente la commedia (con sapidi accenti slapstick). I personaggi sono caricature di se stessi, si muovono al ralenti come nelle sessioni felici delle pellicole sentimentali per poi morire in atroci incidenti d’auto durante nottate cronenberghiane.
 Completa l’affresco trashy l’utilizzo di un espediente mutuato dalla precedente esperienza di William Castle (che una ne pensava e cento ne faceva), la Smell-O-Vision. Secondo l’idea di WC durante la proiezione del film erano rilasciate nei condotti di aereazione fragranze che ne amplificavano l’esperienza sensoriale. Waters utilizza invece l’Odorama (fantastico il racconto della sua messa a punto nel volume autobiografico Shock). All’acquisto del biglietto veniva dato allo spettatore un cartoncino con delle zone da grattare numerate. Prima della proiezione del film un folle dottore spiegava in un breve filmato come all’apparire del numero corrispondente durante il film bisognasse grattare la zona corrispondente per essere inondato da odori piacevoli ma soprattutto spiacevoli! Flatulenze, puzza di piedi, immondizia.

Polyester è ormai un film di culto, un classico da ricordare in particolare per la performance d’eccellenza di Divine che si avvia al commiato dal regista di cui è stata la musa e con cui non sembra più condividere intenti e visione.

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