Una rassicurante veduta aerea della zona suburbana,
luminosa e colorata, introduce - complice il tema didascalico e languido cantato
da Debbie Harry e Tab Hunter - lo spettatore all’interno dell’estetica melò di Polyester,
una nuova e più matura prova di John Waters che adatta le sue istanze irriverenti e rivoluzionarie al servizio
di una produzione più matura e popolare.
In Polyester
Waters opera all’interno dell’immaginario melò, costruito e reso celebre da Douglas Sirk, ribaltandone stilemi, personaggi e movimenti narrativi per raccontare l’allucinato
microuniverso di provincia, costruito sul cattivo gusto, sui cardini pragmatici
e consolatori del cheap, del camp e del trashy. la protagonista Francine
Fishpaw (letteralmente “zampa di pesce”) è una totemica desperate housewife
ante litteram, esasperatamente remissiva e timorata nonostante gli introiti
della sua famiglia provengano dal cinema porno gestito dal marito. L’operazione
di Waters nella costruzione del personaggio di Francine è inaudita: pone al
centro della conservatrice realtà suburbana (siamo ancora una volta a
Baltimore) un travestito di quasi duecento chili, del tutto credibile nel ruolo
della casalinga afflitta da problemi che dalle privatissime camere male
arredate della sua casa diventano pubblici. Il rapporto interno - esterno,
privato-pubblico è centrale in Polyester
e sarà approfondito nelle future pellicole di Waters: Hairspray (l’emulazione e il modello televisivo), La signora ammazzatutti (il processo
mediatico), Pecker (il rapporto con
la fama). Il minimalismo morale di Francine è estremizzato, lei vorrebbe solo
vivere una vita semplice, appunto suburbana, allietata da pic-nic insieme all’amica
Cuddles (una cameriera arricchitasi interpretata dalla mitologica Edith Massey)
e gratificata dai figli, invece deve confrontarsi con l’onta televisiva che
racconta delle proteste nei confronti del cinema porno di suo marito, che
stringe il cerchio attorno al maniaco feticista che pesta i piedi in giro per
la città (suo figlio). A tutto ciò si aggiungono le continue umiliazioni
verbali e fisiche cui Francine è sottoposta dalla figlia delinquente, dalla
madre priva di scrupoli, e non ultimi dal marito e dalla di lui amante (Mink Stole!) che in braghe di tela e reggiseno (rigorosamente di poliestere) la
bersagliano di scherzi telefonici. Ovviamente a nulla varrà la sua
invocazione-manifesto (che ribalta la profezia warholiana) «Vi prego non voglio finire in
televisione!».
Francine la casalinga sfoglia gli impegnati Chaiers du Cinéma |
Il
bersaglio della pellicola è proprio il minimalismo morale della borghesia
suburbana. La mostruosità non è più da ricercare nel lisergico popolo
borderline di Mondo Trasho, essa si
muove fra le mura domestiche e le ceramiche pittate comprate in saldo, e cosa
più terrificante la sua visione sui temi capitali è la più accreditata: aborto,
divorzio, razzismo, religione (la figlia di Francine dopo aver definito il feto
che porta in grembo “un cancro” è posta sul carro della vergogna dalle suore da
cui è stata relegata), le perversioni sessuali (sublimate in maniera abnorme
nell’arte e nell’artigianato).
Polyester
è ormai un film di culto, un classico da ricordare in particolare per la
performance d’eccellenza di Divine che si avvia al commiato dal regista di cui
è stata la musa e con cui non sembra più condividere intenti e visione.
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