Quando uscì Cry Baby riscosse più successo a Cannes che al botteghino e per molti anni fu
sottovalutato e accusato di trascendere diversi generi senza interpretarne realmene
nessuno, in ogni caso incapace di rappresentarne la sintesi. Oggi però la
prima pellicola di John Waters dopo la morte di Divine torna alla ribalta
grazie alla potenza del dialogo fra cinefili e appassionati che continuano a
discuterne le istanze con idee sempre più acute e originali su blog e social
network. Ad appassionare è certamente l’insieme di personaggi, rigorosamente
suddivisi in due gruppi: da una parte i giovani rocchettari in leather
jacket e jeans aderenti, amanti delle motociclette e della libertà (figli
di Rusty il selvaggio quanto del Kenneth Anger di Scorpio Rising)
dall’altra i giovani patrizi in cardigan di cotone e pantalone con le pence,
elitari e conservatori. Fra questi utlimi l’angelica Allison (Amy Locane) che
vuole a tutti i costi essere una bad girl e unirsi alla banda di Wade
“Cry Baby" Walker, un giovanissimo Johnny Depp nei panni del capo di una
gang di motociclisti composta da sua sorella Peperona (l'ultima arrivata frai
Dreamlanders Ricki Lake), Wanda (una spigolosa e già nota alle cronache
Traci Lords), la grottesca Mannaja (Kim McGuire che cita direttamente l'immensa
e irrangiungibile Edith Massey) e Milton (Darren E. Burrows). Chiudono la
formazione Ramona la racchia (nonna di Cry Baby) una rugosa e fumettistica
Susan Tyrell, accompagnata nientemeno che da Iggy Pop nei panni del folle zio di
Cry Baby.
La gang di Cry Baby al completo |
John Waters, orfano
dell’irriverente maschera iconica di Divine, decide di tornare a Baltimore, sua
città natale e luogo-feticcio d'elezione che questa volta diviene rifugio dove
tuffarsi nei ricordi di gioventù. Ricordi che vengono trasfigurati e “customizzati” in
un’opera pop dai toni accesi. L'affresco realizzato da
Waters è esplosivo, musicale e affollato da una fauna esagerata e scientemente
bidimensionale. Una rappresentazione fumettistica dalla consueta cornice trashy, ricca di
potenziale immaginifico. John Waters mette in scena
la sua personale decostruzione di Grease (e perché no di Gioventù
bruciata) fra lingue che si avvinghiano nella calda estate indiana, balli
sfrenati a suon di rock and roll, cromature e brani ormai di culto (eseguiti da
James Intveld e da Rachel Sweet al posto di Depp e Amy Locane). Meglio di un
saggio di sociologia culturale e solo apparentemente mainstream (proprio
come Hairspray) questa pellicola altro non è che un loop suburbano in
cui si incontrano la migliore pagina di cultural studies e la proiezione
domenicale della TV di provincia.
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