sabato 24 dicembre 2011

A Dirty Shame di John Waters (2004)


Possiamo a buona ragione considerare A Dirty Shame l’opera definitiva di John Waters, quella che sintetizza l’operato antiborghese e punk (Mondo Trasho, Female Trouble, Pink Flamingos) della prima produzione con il recupero dell’estetica rock’n roll e dell’immaginario suburbano della seconda (Polyester, Cry Baby, La signora ammazzatutti). Il regista di Hairspray lo fa ancora una volta a Baltimore, l’ombelico del mondo, «la città della diversità», come dirà uno dei personaggi.  Baltimore, che ha già fatto da sfondo alle passeggiate demoniache di Divine, e che qui torna a celebrare un certo sguardo iper-trash e sovversivo che pensavamo ormai appartenere al passato. A Dirty Shame, forte delle sperimentazioni linguistiche affinate negli anni da Waters, sembra tornare ai fasti violenti di un tempo, raccontando della preparazione a una nuova pasqua sessuale, un’avant-resurrezione, da realizzarsi nell’atto sessuale definitivo. Alla sua ricerca si metterà la protagonista Sylvia (Tracey Ullman), ex neuter (“neutra”), diventata una drogata di sesso orale (che vorrà farsi praticare da chiunque) e adepta del cristo sessuale Ray-Ray (il folle Johnny Knoxville di Jackass, qui in versione profeta rockabilly).


Selma Blair omaggia le eroine di Meyer
La liberazione di ogni freno inibitorio, di ogni sovrastruttura sociale («Siamo in Hartford road!» continueranno a ripetere i protagonisti, scandalizzati dal perpetrarsi ovunque di atti sessuali e perversioni) e religiosa da parte della borghesia di Baltimore è messa in scena da Waters grazie a una trasfigurazione surreale in cui tua figlia sembra una creatura di Russ Meyer (Selma Blair omaggia egregiamente gli ammiccamenti mammari delle eroine di Meyer), il vicinato borghese (che in Mondo Trasho additava la diversità considerandola mostruosa) è composto di esibizionisti, gay bear, defecatori molesti, una suburbia in cui i rappresentanti delle forze dell’ordine amano assumere i panni di neonati per farsi sculacciare e sotto la tuta unta del meccanico si nasconde un messia sessuale.
Dal punto di vista formale le scelte di Waters possono apparire manierate – vi è la riproposizione del picture in picture (Polyester), luce piatta e uniforme (lontana dai contrasti drrrty dei primi film e tipica dei successi solo apparentemente mainstream di Cry Baby e La signora ammazzatutti), montaggio e sequenze che recuperano scelte fatte nelle prime pellicole, se non nei corti (Roman candles) – ma sappiamo quanto JW sia in grado di assecondare le scelte della produzione e della distribuzione cinematografica per portare avanti il suo operato. Meritano qui due menzioni: una riguarda le visioni oniriche e deliziosamente postmoderne costruite intorno ai personaggi che ricevono dei colpi in testa, e l’altra l’irruzione del digitale. Waters, memore della lezione di Kenneth Anger, costruisce le visioni mediante l’accostamento di frame provenienti da diversi B movie e pruriginosi midnight movie, su un commento musicale che ne modifica il significato e valorizza il nuovo utilizzo. Il digitale poi è usato da Waters per accentuare i toni comedy – come nelle vicende limitrofe degli scoiattoli – e servire la visione surreale e pasoliniana dell’epifania sessuale di Ray-Ray (personaggi che si alzano in volo, auree e aureole posticce, defecazioni aeree che si trasformano in provvidenziali meteoriti e così via…)

Come in A morte Hollywood abbiamo lo scontro fra due fazioni: i sempre più numerosi convertiti alla libertà sessuale guidati da Ray-Ray e i neuters, che odiano il sesso in ogni sua forma, guidati dalla madre di Sylvia, Big Ethel e da Marge The Neuter (interpretata da Mink Stole!). Scontro che si risolverà nel pantagruelico finale, altrettanto figlio della commedia slapstick, dello zombie movie e dell’utilizzo surrealista e immaginifico dei simboli religiosi operato da Pier Paolo Pasolini (regista amatissimo da JW, come sappiamo da Shock e A morte Hollywood). L’atto sessuale definitivo è preceduto dal risveglio degli istinti sessuali della comunità di Baltimore e dall’ascesa del Cristo sessuale Ray-Ray in una visione ready made, tumida e senza dubbio definitiva

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