Possiamo a buona ragione considerare A Dirty Shame l’opera definitiva di John Waters, quella che sintetizza
l’operato antiborghese e punk (Mondo Trasho, Female Trouble, Pink Flamingos) della prima produzione
con il recupero dell’estetica rock’n roll e dell’immaginario suburbano della
seconda (Polyester, Cry Baby, La signora ammazzatutti). Il regista di Hairspray lo fa ancora una volta a Baltimore, l’ombelico del mondo, «la città della diversità», come dirà uno dei personaggi. Baltimore, che ha già fatto da sfondo alle
passeggiate demoniache di Divine, e che qui torna a celebrare un certo sguardo
iper-trash e sovversivo che pensavamo ormai appartenere al passato. A Dirty Shame, forte delle
sperimentazioni linguistiche affinate negli anni da Waters, sembra tornare ai
fasti violenti di un tempo, raccontando della preparazione a una nuova pasqua
sessuale, un’avant-resurrezione, da realizzarsi nell’atto sessuale definitivo.
Alla sua ricerca si metterà la protagonista Sylvia (Tracey Ullman), ex neuter (“neutra”), diventata una drogata
di sesso orale (che vorrà farsi praticare da chiunque) e adepta del cristo
sessuale Ray-Ray (il folle Johnny Knoxville di Jackass, qui in versione profeta rockabilly).
Selma Blair omaggia le eroine di Meyer |
La liberazione di ogni freno inibitorio, di ogni
sovrastruttura sociale («Siamo
in Hartford road!» continueranno
a ripetere i protagonisti, scandalizzati dal perpetrarsi ovunque di atti
sessuali e perversioni) e religiosa da parte della borghesia di Baltimore è
messa in scena da Waters grazie a una trasfigurazione surreale in cui tua
figlia sembra una creatura di Russ Meyer (Selma Blair omaggia egregiamente gli ammiccamenti
mammari delle eroine di Meyer), il vicinato borghese (che in Mondo Trasho additava la diversità
considerandola mostruosa) è composto di esibizionisti, gay bear, defecatori
molesti, una suburbia in cui i
rappresentanti delle forze dell’ordine amano assumere i panni di neonati per farsi
sculacciare e sotto la tuta unta del meccanico si nasconde un messia sessuale.
Dal punto di vista formale le scelte di Waters
possono apparire manierate – vi è la riproposizione del picture in picture (Polyester),
luce piatta e uniforme (lontana dai contrasti drrrty dei primi film e tipica dei successi solo apparentemente
mainstream di Cry Baby e La signora ammazzatutti), montaggio e sequenze che
recuperano scelte fatte nelle prime pellicole, se non nei corti (Roman candles) – ma sappiamo quanto JW sia
in grado di assecondare le scelte della produzione e della distribuzione
cinematografica per portare avanti il suo operato. Meritano qui due menzioni:
una riguarda le visioni oniriche e deliziosamente postmoderne costruite intorno
ai personaggi che ricevono dei colpi in testa, e l’altra l’irruzione del
digitale. Waters, memore della lezione di Kenneth Anger, costruisce le visioni
mediante l’accostamento di frame provenienti da diversi B movie e pruriginosi midnight movie, su un commento musicale
che ne modifica il significato e valorizza il nuovo utilizzo. Il digitale poi è
usato da Waters per accentuare i toni comedy – come nelle vicende limitrofe
degli scoiattoli – e servire la visione surreale e pasoliniana dell’epifania
sessuale di Ray-Ray (personaggi che si alzano in volo, auree e aureole posticce,
defecazioni aeree che si trasformano in provvidenziali meteoriti e così via…)
Come in A morte Hollywood abbiamo lo scontro fra due fazioni: i sempre più numerosi
convertiti alla libertà sessuale guidati da Ray-Ray e i neuters, che odiano il sesso in ogni sua forma, guidati dalla madre
di Sylvia, Big Ethel e da Marge The Neuter (interpretata da Mink Stole!). Scontro
che si risolverà nel pantagruelico finale, altrettanto figlio della commedia slapstick, dello zombie movie e
dell’utilizzo surrealista e immaginifico dei simboli religiosi operato da Pier
Paolo Pasolini (regista amatissimo da JW, come sappiamo da Shock e A morte Hollywood).
L’atto sessuale definitivo è preceduto dal risveglio degli istinti sessuali
della comunità di Baltimore e dall’ascesa del Cristo sessuale Ray-Ray in una
visione ready made, tumida e senza
dubbio definitiva.
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