Considero le prime sei stagioni di X-Files
(1993-1999) – serie di culto creata dall’altrettanto mitologico Chris Carter – un prodotto a sé stante
rispetto alle successive tre stagioni finali (e al film X-Files: voglio crederci del 2008).
Gli episodi che vanno dal 1993 al 1999 sono caratterizzati da un valore narrativo evidente,
un’originalità e completezza tipici de letterario. In particolare essi hanno un rapporto
imprescindibile con il genere ibrido dello Slipstream
(in cui convivono ibridandosi i generi della science fiction, del fantasy e
del grande canone letterario mainstream) e del New weird, sia per i modelli dai contorni indefiniti che per l’impostazione formale di ogni episodio, ricco di dettagli e
riferimenti. Basti pensare alla fotografia dai toni epici e freddi, alla musica
di Mark Snow, alle sceneggiature di qualità, tutte caratteristiche che hanno fatto
della serie un prodotto in grado di superare la prova del tempo.
Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) rappresentano due
declinazioni assai cool e differenti
dell’individuo metropolitano tipico degli anni Novanta: solo, istruito, dedito
al lavoro e «vaccinato
dall’ironia»
(Aldo Grasso). Il primo brillante, scaltro (come una volpe, ovviamente),
impulsivo, la seconda pragmatica e scettica ma su una base di fede a farle da sostegno e guida
nei territori di confine della propria persona (quando le sarà diagnosticato
il cancro o nel silente desiderio di maternità negata). Sono il
punto di vista attraverso cui affrontiamo accoccolati sui nostri divani e poltrone
(ormai sdruciti, son passati diciotto anni eh) le fiabe e i weird tales della serie, da quello macro
dedicato alla segreta invasione aliena programmata per il 2012, alle incursioni
nella moderna mitologia letteraria del mistero, qui ripresa nella contemporaneità:
Bram Stoker, Mary Shelley, Heinrich von Kleist, il Robert Louis Stevenson dei racconti, Edgar Allan Poe, gli autori Slipstream
William Gibson e Bruce Sterling e ovviamente il maestro americano e modello
primario della serie H. P. Lovecraft
nella sua rappresentazione del terrore celato da sterminati paesaggi boschivi,
e della orrifica e silente vita in provincia.
H. P. Lovecraft |
Sono questi gli episodi migliori (in genere autoconclusivi) che hanno fatto della serie un fenomeno di culto di
vastissime proporzioni. Fra essi meritano particolare attenzione: Chinga (5.10, 1998), Intelligenza artificiale. Kill switch
(5.11) e How the ghosts stole Christmas (6.6). Il primo, scritto in collaborazione con Stephen King ci porta nei territori
amati dall’autore di Carrie: una
cittadina di provincia del Maine in cui il pregiudizio ha fatto di Melissa, una
giovane ragazza madre, una strega. Fra segreti suburbani, morti annunciate da
terribili visioni (tipiche di King) e il terrore venuto dal mare (uno splendido
omaggio alla Innsmouth di Lovecraft) sarà una piccola bambola a trasformare la rilassante
vacanza di Scully nel Maine in un’indagine oscura e sanguinosa. Nel secondo
raccont… ehm episodio Intelligenza artificiale. Kill switch, scritto
da William Gibson e Tom Maddox, Mulder e Scully sono immersi dagli autori di Monna Lisa Cyberpunk e Halo in un racconto digitale,
deliziosamente Slipstream, in cui il racconto di viaggio si ibrida con il
thriller spionistico digitale e si assiste alla rappresentazione della mitologia
hacker, della ricerca del superamento dell’umano nel digitale, dell’epistemologia
cyberpunk che ritroveremo anche nella sfortunata ma eccellente serie di Chris
Carter Harsh realm, in cui i
protagonisti lasciano il proprio corpo per vivere in una realtà simulata e
parallela (N.d.R.: la serie è del 1999 proprio come il primo film della serie Matrix). Infine nel terzo episodio How the ghosts stole Christmas, scritto
da Chris Carter i nostri rivisiteranno il racconto del terrore anglosassone
rimanendo prigionieri di una casa infestata proprio il giorno di Natale. A rendere
l’episodio speciale, oltre a una trama psicologico - sovrannaturale a scatole
cinesi la presenza dell’immensa Lily Tomlin nelle vesti di una sadica e
trapassata padrona di casa.
In definitiva rivedere le prime sei stagioni di X-Files (con l’intermezzo
cinematografico del 1998: X-Files: il
film) risulta imprescindibile sia per la comunità di voraci appassionati di
serialità televisiva che per i lettori più esigenti, che qui troveranno la
perfetta coniugazione (e amplificazione) visiva del piacere della lettura.
N.B.: non ho citato fra i modelli della serie Twin Peaks. Credo che il rapporto che X-Files ha con la creatura di David Lynch
si possa ridurre alla sola presenza comune di David Duchovny.
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