domenica 28 settembre 2014

Lucy di Luc Besson (2014)



Un pretesto. A Luc Besson è servito solo un pretesto per poter liberare tutte le sue energie creative, le idee più folli e sincopate in quello che si propone come un action thriller ma che dall’interno ne muta, amplia e modifica i connotati. Lucy progetto ideato, scritto e girato dal padre di Nikita e Leon, proprio per la sua natura disinvolta si rivela una visione divertente, spassosa e stupefacente per lo spettatore: il montaggio alternato, il tono sopra le righe della recitazione di comprimari e comparse (boss della mafia taiwanese tratteggiati come i cattivi dei fumetti, svenimenti ad hoc, sguardi enigmatici, divertiti, sgomenti), l’eccezionale capacità della protagonista Scarlett Johansson (già Vedova Nera nel Marvel Cinematic Universe e aliena in Under the skin) di trasformarsi da svampita studentessa in pelliccia ecologica a creatura sovraumana alla ricerca dei suoi limiti (la possibilità di utilizzare il 100% delle possibilità del cervello umano, o del pretesto di cui sopra), un’entità wireless in grado di maneggiare le onde magnetiche, dallo sguardo-scanner, in grado di controllare gli altri esseri viventi e la materia.
In parallelo a Parigi il professor Norman (interpretato da Morgan Freeman), che da sempre si è occupato della teoria secondo cui l’essere umano usa il cervello solo per il 10% , sta tenendo una conferenza in cui spiega le diverse capacità che l’uomo potrebbe acquisire se iniziasse a utilizzarne quote sempre più alte. Nonostante il professore sia in cattedra, in un’aula magna gremita e partecipe, Besson non manca di amplificarne il discorso montandolo con splendide immagini che fanno da vere e proprie metafore amplificative. 

Con Lucy Besson utilizza la casuale nascita della sua eroina (sorta da un incidente doloroso, come ogni supereroe) per catapultare lo spettatore nelle sue più spassose ossessioni: l’uso della metafora attraverso il montaggio alternato, la metamorfosi (con un paio di Louboutin addosso), gli effetti della droga futuribile (altro che mitopoiesi Marvel, qui la nostra Lucy ne vive una sopra le righe, sfiorarando il comico) la visione del globale descritta attraverso giustapposizioni, il tempo come unica prova del reale e perno del cinematografico. 

Da Taiwan a Parigi, passando per Berlino e Roma (dove si consolida una volta di più lo stereotipo dell’italiano incapace a concludere l’operazione più semplice), fino a New York per una sequenza à la The Tree of Life sotto speed, come se fosse trasmesse in nottata da MTV Brand:New, vedremo Lucy imbracciare armi, prendere un aereo mentre le sue cellule si immortalizzano attraverso delle spore, sfrecciare contromano per le vie di Parigi (quanto ti sei divertito a girare questa sequenza, Luc?), fondere la propria materia con il silicio e trovare un modo comprensibile all’uomo di trasmettere tutta la sua conoscenza (non prima di citare Lei (Her), dove Scarlett Johansson presta la voce al sistema operativo Samantha). 

Quello di Luc Besson è un omaggio al cinematografico più spassoso e disinibito, libero e irriverente. Lucy, conscia di potere muovere se stessa nel tempo assiste a ritroso ai cambiamenti della città di New York, fino a incontrare… la prima Lucy, l’esemplare di Australopithecus afarensis scoperta nel 1973 (per sfiorarle l’indice citando la Creazione di Adamo di Michelangelo), e ancora a ritroso fino alla nascita dell’universo. Non a caso Lucy assiste a tutto ciò seduta su una poltrona, da spettatrice meravigliata. Proprio come noi. 

 

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