È buffo pensare che nel maggio del 2005, quando David Cronenberg lo presentò al festival
di Cannes, il suo A History of Violence fu giudicato poco sperimentale, anzi
decisamente convenzionale. Il film rappresenta in realtà un nuovo passo della
ricerca cronenberghiana in merito a mutazione, identità e rappresentazione dicotomica
del reale. Se nelle precedenti prove il regista canadese si era servito di un
multiverso creato attraverso il gioco di ruolo (eXistenZ) e di uno schizofrenico compenetrarsi temporale (Spider) con A History of Violence dimostra che la mutazione può avvenire anche
in provincia, operare su un uomo comune, anzi sull’Uomo Comune, il mattone
(rosso come quelli dell’architettura tardo-ottocentesca della cittadina di
Millbrook, Indiana dove è ambientata la vicenda), l’unità fondante della
società americana. Tom Stall (Viggo Mortensen, che inaugura la sua
collaborazione con il regista canadese) è il tranquillo proprietario di una
tavola calda, ha una moglie che lo desidera, una famiglia che lo ama ed è
rispettato dalla piccola comunità dove ha scelto di vivere. Questo fino a
quando da lontano, ombre mostruose dal passato lo raggiungono, lasciandosi
dietro una scia di sangue gratuito.
La mutazione in Tom è à
rebours, avviene contro la sua volontà, lo (ri)trasforma in un individuo
che è vissuto in lui prima di lui. A
History of Violence, come tutti i film di Cronenberg, è fatto di ingressi,
di una dicotomica realtà basata sul continuo scambio interno/esterno, che qui s’incarna
nella manifestazione della violenza. Cronenberg ci
mostra quanto è labile il suo affiorare e riaffiorare persino nel contesto più sereno
e pacifico. Dal piano sequenza iniziale, lentissimo e claustrofobico, con i due sicari
nella fissità estiva di un motel (anch'esso afflitto dall’orrorifica realtà
interno/esterno), fino all’esplosione nel ristorante di Tom, che
inusitatamente uccide a mani nude i due malintenzionati, passando per i
corridoi della scuola dove suo figlio demistifica il bullismo di un compagno
con le parole, per poi cedere inevitabilmente alla liberazione più ferina.