Ci sono libri la cui lettura è una continua
deflagrazione, libri in grado di provocare dolore fisico, capaci di porre il
lettore di fronte a se stesso, alle proprie paure e menzogne, alla propria
miseria, ai propri desideri. Leggere uno di questi libri vale l’appellativo di «esperienza» e senza
dubbio si tratta dei libri migliori. Quest’anno solo Anatomia della ragazza zoo
di Tenera Valse (Il Saggiatore) mi
ha ricordato cosa significa tutto questo. Il romanzo è un lungo e articolato
viaggio nell'atlante anatomico di una famiglia italiana. Una famiglia la cui
medietà diverrà l’orribile paradigma di un intero paese. Quella che il lettore
trova in Anatomia della ragazza zoo è
una meravigliosa ontologia per immagini che, materiche e sensoriali, l’autrice
dipana secondo una precisa visione disciplinare. Il romanzo è la più lucida
riflessione sul femminile oggi reperibile in narrativa. Un femminile che fa
dell’integrità di pensiero, dei «magazzini della memoria» percorsi secondo
sentieri mai perduti, dell’intimità più organica, la propria cifra identitaria.
Femminile con cui deve confrontarsi l’intera famiglia Pensi, a partire dalla
polimorfa Alea (che riconosciamo
come figlia della Contessa Maria di Palazzeschi) nella cui rappresentazione si
specchia la miseria di un intero sistema di pensiero, sterile, contorto e
doloroso. Un sistema che è causa asfittica per più di una generazione. Alea s’incarna
e si declina, nel confronto con il mostruoso padre diventa moltitudine di
visioni e direzioni. Alea muta in vertice, spirale, cuspide, in un gioco
identitario che ha le caratteristiche di un rompicapo visivo à la Escher.
Il femminile si declina nella madre Rina, che rimette la propria
maternità alle scelleratezze totalitarie del marito, il preside Pensi, orribile
uomo-traccia le cui pulsioni celate – da pavido e folle qual è – corrodono irrimediabilmente
l’esistenza dei figli. Pulsioni che ne scompongono la figura (che egli vorrebbe
eroica) in un’opera puntinista che è poi un’immagine insostenibile.
In Anatomia della ragazza
zoo le
immagini si affastellano e si dipanano, si distendono come tessuti organici,
prendono forma nello spazio infantile della casa tarantina, si fanno esperienza nella
memoria e anticipano la tragedia dell’oggi che si svolgerà sul proscenio di una
Roma in grado di coagularsi e diluirsi continuamente nel flusso macronarrativo.
Mentre la vicenda giunge all'unica risoluzione possibile - dai
connotati immaginifici, concettuali e organici come fossimo in un film di David Lynch o David Cronenberg – è impossibile non godere dell’abilità di
Tenera Valse nell'utilizzo della lingua italiana (integra e cosciente di sé), dei
riferimenti alla cultura latina e delle stupende composizioni poetiche di Alea.
Tutte peculiarità che arricchiscono e completano un’esperienza di lettura non a
torto né con leggerezza da considerarsi unica.
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