Una città europea senza precisi connotati, esaltata
da una fotografia ineccepibile, è il luogo in cui Giuseppe Tornatore consuma la vicenda di Virgil Oldman (Geoffrey Rush) elegante e colto antiquario - in
grado di discernere un falso da un vero con una sola occhiata attraverso la
lente – nel suo ultimo film La migliore offerta. I titoli di
testa ci introducono al protagonista attraverso le sue abitudini: la scelta di completi impeccabili e dei guanti che
proteggono le sue mani da qualunque contatto che non sia con un’opera d’arte, i
raffinati ambienti frequentati nella vita quotidiana. Virgil ha fatto del suo
talento il suo unico compagno. L’unica stanza del suo grande appartamento
veramente vissuta è quella in cui Oldman conserva la preziosa e imponente
collezione di ritratti femminili, sottratti con l’ausilio dell’amico Billy,
alle proprie aste. Una collezione che attraversa epoche e stili differenti, le
cui opere per Virgil Oldman rappresentano la stessa, unica, fantasmata. Sono per lui lo stesso ponte
tra immagine, percezione e immaginazione. Virgil, scopriremo, evita
accuratamente di guardare le donne che conosce in faccia, ma si lascia
sopraffare dagli sguardi dei suoi ritratti. Questi costituiscono per l’antiquario
una forza motrice imprescindibile di conoscenza ed emozione. In buona sostanza
i ritratti di Virgil sono un’unica entità, sfuggente e diafana, in grado di colmare
ogni ambizione e soddisfare ogni desiderio.
Non sorprende che l’unica donna in carne e ossa in
grado di catturare l’attenzione dell’antiquario sia Claire Ibeson (Sylvia Hoeks) una cliente che chiede a Oldman di
inventariare i propri averi, custoditi nella villa di famiglia, senza mai mostrarsi
ai suoi occhi. La voce di Claire che risuona negli ambienti di villa Ibeson
sono ciò che Oldman andava cercando da tempo: la voce della sua fantasmata. Un’entità in grado di fare di
più, di donargli e sfidarlo, facendogli trovare i meccanismi di uno strano
congegno - un automa del Settecento, opera di Vaucanson - che assumerà il ruolo
di nunzio meccanico nel disvelamento finale. In un rimando di immagini, oggetti
e personaggi, Tornatore costruisce intorno a Virgil Oldman un labirinto fatto di
surrogati, figure stranianti e umbratili compagni di ventura.
Virgil Oldman e la sua fantasmata. |
Il film può
contare su una scrittura d’eccezione, che conduce attraverso il mistero e il thrilling con sapienza, facendo
lentamente corrispondere il punto di vista di Oldman con quello dello
spettatore. Fanno del film un vero capolavoro la già citata fotografia, le
musiche di Ennio Morricone, la
recitazione di Geoffrey Rush, gli sguardi obliqui di Sylvia Hoeks e Donald Sutherland, i meravigliosi ambienti affollati di opere d’arte e d’antiquariato
e la regia di Giuseppe Tornatore, che dissemina la pellicola di indizi,
sfidando sia l’antiquario sia lo spettatore, a una partecipazione attiva nel
labirinto in cui si ritrovano dopo aver seguito le proprie ossessioni. Sì,
perché La migliore offerta è un film
sull'arrendevolezza e la fragilità dell’uomo – seppur esperiente, “old man” appunto – di fronte alla
propria ossessione. Il film dura due ore ma lo spettatore non se ne accorge
nemmeno, impegnato com'è a osservare la costruzione (mai parola fu più
appropriata) del rapporto fra Virgil e Claire.
Il tocco magistrale di Giuseppe Tornatore è, a mio
avviso, lo splendido finale. Un accostamento di immagini, espressioni,
movimenti e risoluzioni che completano il movimento, lasciando un’apertura,
ancora una volta legata all'ossessione e riconducendosi altresì all'inizio del
film.
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