C’è una narrativa italiana cosciente, in grado di
percepire le proprie potenzialità, disinibita nei confronti dei modelli che ha
amato e metabolizzato. Si tratta di un insieme di autori che sanno ben
utilizzare il mezzo narrativo e lo fanno senza alcuna pretesa, realizzando
opere godibili e assai interessanti. Tra loro c’è sicuramente il Nicola Pezzoli di Quattro soli a motore
(Neo. Edizioni) che propone un romanzo di ampio respiro, affollato di
personaggi indimenticabili (perché presenti nel nostro codice genetico), raccontato
da uno io narrante onesto, con cui non fatichiamo a immedesimarci.
In Quattro
soli a motore c’è il Mark Twain de Le avventure di Tom Sawyer e Huckleberry
Finn, c'è l’H. P. Lovecraft dei racconti de L’incubo, Philip K. Dick, c’è la rappresentazione di una provincia
beghina e feroce, quella della Lombardia occidentale. Quest’ultima, unica e
preziosa nella narrativa contemporanea. Le vicende ambientate nei mesi più
caldi del 1978 sono raccontate a posteriori dall’undicenne Corradino che, partendo
dalle origini, racconta della sua surreale weltanschauung
– dalle immaginarie Lavinia a Cuviago - attraversata dai molti personaggi che gravitano
intorno a lui. I genitori innanzitutto: il padre violento, soprannominato “Videla”
(capace però di stati di grazia come «l’ascolto della sera»),
la madre lievemente alcolista, l’asilo e le suore «pinguinacce di stoffa»,
poi Cuviago, con le sue donne tutte «chiesa e pettegolezzo»
capeggiate dalla giganteggiante «viceprete» De Ropp, il compagno di
giochi e immaginazione Gianni, la bivalente Cristina, i bulli di paese (in
maggioranza figli di immigrati del sud) e il misterioso e agghiacciante Von Kestenholz
che sembra celare agli occhi di Corradino e Gianni orrori inimmaginabili.
Nicola Pezzoli connota il lungo e articolato racconto
di Corradino di una vena umoristica d’eccezione perché calibrata e funzionale. Umorismo
al servizio della storia - esaltato da un uso della lingua e delle espressioni
dialettali assai sapiente - che grazie a questo si muove nei territori del
grottesco (come potrebbe interpretarlo la regista Lina Wertmüller),
amplificando i connotati dei personaggi e identificandoli con le loro scelte e
istanze. Il racconto è poi costruito sulla visione che Corradino ha della
vicenda, il suo punto di vista non è soltanto emotivo, è innanzitutto visivo. Sguardo
sulle miserie del borgo, sul paesaggio e, come già detto, sui personaggi. Persino
la visione onirica e i connotati più surreali della vicenda si muovono
continuamente per osmosi dal piano visivo a quello narrativo. In questo caso il
taccuino rosso di Wolfsburg diventa il simbolo centrale di questa peculiarità.
Corradino lo utilizza per trasmigrare ogni emozione e visione attraverso la
scrittura. L’inchiostro e le lacrime che spesso macchiano la pagina ne diventano
poi i catalizzatori.
Quattro soli a
motore possiede un prezioso scheletro metanarrativo che arricchisce e
completa la narrazione di Corradino. L’attività autoriale, lo scambio e le
interpretazioni delle idee, la loro riedizione, il lavoro della scrittura e il
piacere della lettura (deliziosi i momenti in cui Corradino si rannicchia nel
fienile con Gianni che gli leggerà il nuovo capitolo della sua storia) sono una
parte importante del romanzo, così come i brani del racconto fantascientifico
di Gianni, I dieci pianeti.
In definitiva una lettura godibile, originale e “altra”
nella rappresentazione di una contemporaneità che solo attraverso la lente del
grottesco – perfettamente maneggiata da Nicola Pezzoli - è possibile realizzare
appieno.
Nessun commento:
Posta un commento