giovedì 19 settembre 2013

Milano Film Festival 2013: cosa è stato

di Laura Vayola

Si è appena conclusa la diciottesima edizione del Milano Film Festival.
Un’edizione molto speciale perché ha segnato la raggiunta “maturità” della manifestazione ma anche una tappa fondamentale nell'evoluzione della stessa.
Milano Film Festival è sempre stato fucina e osservatorio per talenti più o meno conosciuti, tappa fondamentale per appassionati e neofiti del cinema ma soprattutto corsia preferenziale per i giovani cineasti di tutto il mondo. Anche quest’anno il concorso ha visto protagonisti undici lungometraggi e ben cinquanta cortometraggi provenienti da ogni angolo del globo.
Tra i più significativi sono sicuramente da segnalare Les Rencontres D’Après Midi (vincitore nella sezione lungometraggi), esordio alla regia di Yann Gonzales (ex M83) tra fiaba kitsch, immaginario surrealista e allusioni porno-soft e Ilo Ilo (Anthony Chen/Singapore/2013, Camera d’Or a Cannes) melò familiare delicato e toccante, sullo sfondo di una Singapore in piena crisi economica.
La selezione cortometraggi ha lasciato molto spazio a forme autoriali ibride, al mash-up tra animazione e narrazione cinematografica classica dagli esiti inaspettati, come nel brillante Fatigués d’etre beaux (Anne-Laure Daffis, Léo Marchand/France/2012), western tra tinte oniriche e sfide dell’assurdo. Da segnale anche Pequeno bloque de cemento con pelo alborotado conteniendo el mar (Jorge Lopez Navarrete/Spain/2013), vincitore del premio come miglior film, una poetica storia di libertà che rifugge la prigione delle “categorie”.
Ma la programmazione del festival, come sempre ben diversificata, non ha trascurato l’animazione, la forma documentaristica, gli incontri tra arte e cinema, i focus d’autore e la musica, con un’ampia rassegna di undici artisti italiani e non.
La maratona d’animazione, uno degli appuntamenti fondamentali del Milano Film Festival, ha registrato come sempre una grandissima partecipazione da parte del pubblico, accorso numeroso alla proiezione di più di quaranta cortometraggi variegatissimi nelle soluzioni tecniche e nei linguaggi espressivi, dalla stop motion alla clay motion, dalla 2D alla silhouette.
Piccoli gioiellini come The animation of a men (Amanda Nedermeijer/Netherlands/2012), Fear of flying (Conor Finnegan/Ireland/2012) o Carn (Jeff Le Bars/France/2012) si sono susseguiti durante la lunga maratona, fornendoci una vastissima gamma di soluzioni estetiche, di soggetti narrativi, di studio volto alla sperimentazione.
Con la sezione «Colpe di Stato» ci siamo addentrati nel terreno delle “verità nascoste”, attraverso nove documentari tra cui segnalerei il crudissimo Camp 14 – Total Control Zone (Marc Wiese/Germany/2012), un vero atto d’accusa contro i campi di prigionia in Corea del Nord e The act of killing (Joshua Oppenheimer/Denmark, Norway, UK/2012) incentrato sullo sterminio di oltre mezzo milione di indonesiani da parte dei famosi “squadroni della morte”.
Non è mancato lo spazio per lungometraggi Outsiders, storie di personaggi accomunati dal un comune senso di estraneità, per l’appartenenza ad una comunità di emarginati, dalla lontananza, dall'esclusione. Pellicole come Rent a family Inc. (Kaspar Astrup Schoder/Denmark/2012), Lunarcy (Simon Ennis/Canada/2012) o 12 o’ Clock Boys (Lofty Nathan/USA/2013) disegnano, attraverso le immagini, la perenne insoddisfazione appartenente al genere umano, la voglia, impossibile da soddisfare, di far parte di un “qualcosa”.
Il consueto focus autoriale quest’anno ha omaggiato il lavoro del cineasta francese Sylvain George, attraverso la proiezione di tutti i suoi cortometraggi e di Les eclats e Vers Madrid, due tra i suoi lungometraggi che si propongono di scardinare le consuete modalità di comunicazione per lasciare spazio all'espressività e all'eloquenza dell’immagine.
La sperimentazione come chiave di volta dell’intera manifestazione, come nella sezione «Vernixage» che interroga le vaste connessioni che intercorrono tra arte e cinema attraverso il lavoro di tre differenti autori e dei loro lavori. Frozen flames (Luca Trevisani/Italy/2013), Negus – Echoes Chamber (Invernomuto/Italy/2013) e Now showing: Austerity Measures (Joao Laia e Andrey Shental/UK/2012) sono testimonianza di un cinema volto alla sperimentazione di profili sempre nuovi e nel contempo di una continua ricerca di connessione verso forme artistiche delle origini.
Ma il Milano Film Festival non è sempre e solo cinema, è una piattaforma di connessione verso l’espressione nella sua interezza, anche e soprattutto della musica. Lo dimostra attraverso «PARKLIVE», un’ampia rassegna interamente dedicata alla musica nel cuore di Parco Sempione. Nomi come Bugo, Erlend Oye, Roberto Angelini e Mamavegas si sono esibiti sul palco d’eccezione di Piazza del Cannone, tra una proiezione e l’altra, tra appassionati del cinema e fortunati passanti che, per più di dieci giorni, hanno potuto fruire gratuitamente dell’ottima musica offerta dal festival.
Milano Film Festival è proprio questo, nasce dall'urgenza di sperimentare il nuovo, dall'esplorazione di percorsi cinematografici (e non solo) poco battuti, dalla tendenza a promuovere il talento giovanile e dal desiderio, allo stesso tempo, di rendere totalmente democratico e fruibile il cinema in tutte le sue sfaccettature.
Del resto lo dichiara apertamente il testimonial scelto per questa diciottesima edizione: il pappagallo.

-“Perché il pappagallo?”. L’avete chiesto in tanti, Perché un testimonial del genere per un festival di cinema? Come il nostro poi.
Non abbiamo un’unica risposta, ma delle idee sì.
Perché è dada ed esotico, è avanguardia e popolare: è due belle tensioni dell’arte”

                                                                                                   -Alessandro Beretta e Vincenzo Rossini- Direttori artistici

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