Metti una bella cucina. Bella-bella eh, spaziosa, con
tutto a portata di mano! Al centro della cucina un bel tavolo di legno, di
quelli solidi e una lampada con carrucola che si può regolare per lavorare con
la migliore delle illuminazioni. È questo l’opistodomo allestito da Mauro Bolognini per la sua Leonarda Cianciulli. Un luogo mistico,
in cui superstizione, rituale e archetipi simbolici si lavano insieme nel
sangue per offrirsi sottoforma di manicaretti e doni. Gran bollito di Mauro Bolognini (1977) è tra le pellicole che
meglio incarnano quel connubio tra realtà sociale, surrealtà e attitudine
gotica che è punto di forza di tanto cinema italiano.
Mauro Bolognini mette al centro della sua tragedia
(la nota vicenda della saponificatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli) una Shelley Winters, stupenda e
agghiacciante «madre Italia», allegoria mortuale di quell'attaccamento ai
propri figli tutto italiano, una follia cieca che pur di impedire il distacco
muove verso i territori della follia più bieca e assassina. La Leonarda di
Shelley Winters è di più, è una megera, una maga dagli oscuri appetiti e
rituali, una strega che dal sud primigenio porta le sue doti divinatorie e la
sua magia nera nel cuore del «continente», nella provincia emiliana,
conquistando le simpatie di un gruppo di «amiche», tutte accomunate da una
fragilità femminile che solo un trio di attori come Renato Pozzetto, Max von Sydow e Alberto Lionello poteva
incarnare con tanta finezza e precisione. Il film, speculare rispetto a sé
stesso, vede i tre attori interpretare, oltre alla parte femminile, anche una parte
maschile in un gioco identitario che è anche di Leonarda. Quest’ultima è spinta,
obbligata, dall'irrefrenabile follia superstiziosa che desidera dividere suo
figliolo Michele (Antonio Marsina) dalla bella Sandra (Laura Antonelli) per
tenerlo sempre con sé.
La visione di Gran
Bollito è un viaggio nel grottesco, un percorso surreale, e opalescente fra salotti di rappresentanza,
balere, appartamenti, deliri mistici, interpretazioni catartiche (Renato
Pozzetto che canta in tre numeri memorabili en-travesti),
rituali casalinghi, sesso, paure (il demonio che perseguita Lisa con visioni e
aggressioni sessuali) e un finale memorabile in cui la tragedia si chiude per
mano di Tina, la domestica ritardata (interpretata dalla meravigliosa Milena Vukotic), che serra per sempre le tende dell’orribile cucina di Leonarda. Un finale
che non manca di citare la realtà con la celebre frase pronunciata dalla
saponificatrice a chi la apostrofava durante l’arresto «mostro? Chi, io? Ma
siete pazzi?».
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