Che
magnifica fucina d’idee è stato il cinema italiano. Che pazzesco insieme
di eroi coraggiosi e disincantati ha creato l’immaginario da cui
ancora si può attingere e imparare! Fra loro spicca per inventiva e straordinario
utilizzo artigiano del mezzo cinematografico Dario Argento.
Prendiamo
per esempio la sua Trilogia degli animali, quei film che rappresentano l’origine
e la sintesi più vitale del suo cinema. Prendiamo L’uccello dalle piume di cristallo (1970), sua prima prova
registica dopo i confronti con la scrittura al fianco di Sergio Leone (C’era una volta il west), Giuseppe
Patroni Griffi (Metti una sera a cena)
e in molti b-movie. L’idea de L’uccello dalle piume di cristallo
nasce in Tunisia, Dario lo elabora dopo aver letto il racconto del giallista
americano Fredric Brown Screaming Mimi.
Il film vedrà la luce - senza mezzo
compromesso rispetto alle idee del regista - grazie al supporto del padre,
Salvatore Argento, che decide di produrlo in società col figlio (nasce così la
S.E.D.A. che produrrà tutti i primi film di Dario). Grazie al padre, il giovane
regista ha la possibilità di preservare tutte le terrificanti caratteristiche
del suo film, facendo esplodere per primo l’attitudine italiana al thrilling.
Ne L’uccello dalle piume di cristallo Dario
Argento incanala le energie più libertarie e le sue idee più disinibite in una
struttura che di per sé impone l’ordine: il giallo. È questa sintesi fra le
regole che devono portare
all’agnizione del colpevole e gli scossoni, i continui (e francamente deliziosi)
punti di fuga creativi, che incantano lo spettatore e lo terrorizzano come
poche volte di fronte al grande schermo.
Sam assiste all'omicidio nella galleria d'arte. |
Ne L'uccello dalle piume di cristallo lo scrittore
americano Sam Dalmas (Tony Musante, conosciuto da Dario Argento sul set di Patroni
Griffi), passeggiando per Roma assiste a una colluttazione notturna in una
galleria d’arte. Forse per la sua presenza l’aggressione non si completa in
omicidio ma Sam comincia a essere ossessionato da un dettaglio mancante, una
sequenza perduta, certamente presente a livello inconscio nella sua memoria. Mentre
il giovane scrittore prova a ricostruire gli eventi insieme al commissario
Morosini (Enrico Maria Salerno) viene fuori un raggelante dipinto naïf e l’assassino
torna a uccidere, ancora e ancora.
Ne L’Uccello dalle piume di cristallo scrittura,
regia e montaggio sono al servizio di una rappresentazione straniante e
surreale, quello che Dario Argento ci propone è un vero e proprio allestimento
situazionista in cui ogni segmento è un viaggio all’interno di una mente malata,
uno sguardo che non può che diventare ossessivo mentre tenta di afferrare i
particolari della natura umana. Natura che in Dario Argento è sempre venata di
follia, segnata da indicibili traumi o trasmutata da orrori innominabili.
L’Uccello dalle piume di cristallo è il tentativo di indagare, ricostruire
attraverso la memoria visiva, il momento straniante dell’omicidio cui Sam assiste.
Tutta la scena è un allestimento creato da Dario Argento: Sam si trova prigioniero
fra le ante di vetro all’ingresso di una galleria d’arte. Minacciose sculture in
penombra si stagliano sullo sfondo bianco e asettico dello spazio espositivo.
La teca costituita dalle ante serrate, isola Sam dal suono e ne limita lo
sguardo mentre sul piano rialzato della galleria si consuma la lotta fra
l’assassino e la sua vittima.
La
sequenza è di una magnifica surrealtà e introduce lo spettatore al gioco che
Dario Argento ha pensato per lui. Un gioco in cui lo sforzo mnemonico e razionale
della ricostruzione degli eventi mostra il fianco e soccombe di fronte alla
soggettività sfuggente e inconscia dello sguardo.
Non è un
caso che ne L’uccello dalle piume di
cristallo siano opere d’arte naïf a stimolare, muovere e favorire lo
svelarsi del mistero. Sia le sculture della galleria sia l’agghiacciante
disegno recuperato da Sam come il più importante degli indizi (disegno che
riprende lo stile deliziosamente disturbante di Antonio Ligabue), si propongono
come appigli per superare l’orrore dilagante, rivelandosi poi strumenti
inafferrabili se non pericolose e affilate armi.
È con
questo primo lungometraggio che Dario Argento ci introduce a tutte le sue prerogative
cinematografiche. Scelte in materia di regia e montaggio che ossessioneranno
generazioni di cinefili: le soggettive dell’assassino, il primissimo piano
inconsueto e raggelante, l’esplosione del macrodettaglio, un occhio sgranato,
una bocca spalancata a mostrare l’ugola impazzita, una rasoiata verso la camera.
Momenti di terrore indimenticabili che faranno scuola (e poi maniera) in tanto
cinema a venire.
Non ci
resta che riosservare la scena del crimine de L’uccello dalle piume di cristallo, mettendo alla prova sguardo e
memoria, alla ricerca – sappiamo già impossibile – del dettaglio chiave, della
comprensione univoca dell’omicidio come dell’opera d’arte.
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