domenica 13 gennaio 2013

Quattro soli a motore di Nicola Pezzoli (2012)


C’è una narrativa italiana cosciente, in grado di percepire le proprie potenzialità, disinibita nei confronti dei modelli che ha amato e metabolizzato. Si tratta di un insieme di autori che sanno ben utilizzare il mezzo narrativo e lo fanno senza alcuna pretesa, realizzando opere godibili e assai interessanti. Tra loro c’è sicuramente il Nicola Pezzoli di Quattro soli a motore (Neo. Edizioni) che propone un romanzo di ampio respiro, affollato di personaggi indimenticabili (perché presenti nel nostro codice genetico), raccontato da uno io narrante onesto, con cui non fatichiamo a immedesimarci.
  In Quattro soli a motore c’è il Mark Twain de Le avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, c'è l’H. P. Lovecraft dei racconti de L’incubo, Philip K. Dick, c’è la rappresentazione di una provincia beghina e feroce, quella della Lombardia occidentale. Quest’ultima, unica e preziosa nella narrativa contemporanea. Le vicende ambientate nei mesi più caldi del 1978 sono raccontate a posteriori dall’undicenne Corradino che, partendo dalle origini, racconta della sua surreale weltanschauung – dalle immaginarie Lavinia a Cuviago - attraversata dai molti personaggi che gravitano intorno a lui. I genitori innanzitutto: il padre violento, soprannominato “Videla” (capace però di stati di grazia come «l’ascolto della sera»), la madre lievemente alcolista, l’asilo e le suore «pinguinacce di stoffa», poi Cuviago, con le sue donne tutte «chiesa e pettegolezzo» capeggiate dalla giganteggiante «viceprete» De Ropp, il compagno di giochi e immaginazione Gianni, la bivalente Cristina, i bulli di paese (in maggioranza figli di immigrati del sud) e il misterioso e agghiacciante Von Kestenholz che sembra celare agli occhi di Corradino e Gianni orrori inimmaginabili.

Nicola Pezzoli connota il lungo e articolato racconto di Corradino di una vena umoristica d’eccezione perché calibrata e funzionale. Umorismo al servizio della storia - esaltato da un uso della lingua e delle espressioni dialettali assai sapiente - che grazie a questo si muove nei territori del grottesco (come potrebbe interpretarlo la regista Lina Wertmüller), amplificando i connotati dei personaggi e identificandoli con le loro scelte e istanze. Il racconto è poi costruito sulla visione che Corradino ha della vicenda, il suo punto di vista non è soltanto emotivo, è innanzitutto visivo. Sguardo sulle miserie del borgo, sul paesaggio e, come già detto, sui personaggi. Persino la visione onirica e i connotati più surreali della vicenda si muovono continuamente per osmosi dal piano visivo a quello narrativo. In questo caso il taccuino rosso di Wolfsburg diventa il simbolo centrale di questa peculiarità. Corradino lo utilizza per trasmigrare ogni emozione e visione attraverso la scrittura. L’inchiostro e le lacrime che spesso macchiano la pagina ne diventano poi i catalizzatori.  
Quattro soli a motore possiede un prezioso scheletro metanarrativo che arricchisce e completa la narrazione di Corradino. L’attività autoriale, lo scambio e le interpretazioni delle idee, la loro riedizione, il lavoro della scrittura e il piacere della lettura (deliziosi i momenti in cui Corradino si rannicchia nel fienile con Gianni che gli leggerà il nuovo capitolo della sua storia) sono una parte importante del romanzo, così come i brani del racconto fantascientifico di Gianni, I dieci pianeti.

In definitiva una lettura godibile, originale e “altra” nella rappresentazione di una contemporaneità che solo attraverso la lente del grottesco – perfettamente maneggiata da Nicola Pezzoli - è possibile realizzare appieno. 

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