venerdì 19 aprile 2013

Holy Motors di Leos Carax (2012)


Premier rendez-vous
L’ex enfant terrible del cinema francese, Leos Carax (Rosso sangue, Gli amanti del Pont-Neuf) torna fra noi col più inenarrabile e commovente dei film possibili. Partendo semplicemente dal concetto che dell’Occhio avevano i surrealisti. Già, l’occhio. L’occhio non può che essere “senza volto”, se parliamo della ancor bellissima Edith Scob. Se poi prendiamo Edith Scob e la mettiamo a guidare il taxi pluvial di Salvador Dalì e la mandiamo a scorrazzare Denis Lavant (icona di tutto il cinema dionisiaco francese) per una Parigi subacquea ed epilettica, tutto ciò parrà come se sulla pelle indossassimo la celebre maschera di Franju. (Andrea Bruni).

Second rendez-vous
Mentre David Cronenberg osserva una limousine bianca che percorre New York divenire il proscenio dove rappresentare, con rigore formale e preveggenza, quel che rimane delle sfere intrapsichiche di freudiana memoria, a Parigi Leos Carax ne segue un’altra, identica alla prima, nella sua funzione di trasmettitore. Il segnale trasmesso è cangiante e attraversa un organismo esso stesso franto e in continua e perpetua metastasi: una Parigi i cui passages sono ormai emanazioni di una iperrealtà multidimensionale che è già stata surrealtà.

Troisième rendez-vous
Meraviglie e abissi, fisarmoniche e crisantemi: perché, sempre l’Occhio, è puro solo se allo se “allo stato selvaggio”, come sembra dirci, nella terza stazione di questa Via Crucis sacrilega, un Monsieur Opal (il truculento Mr. Hyde inventato da Jean Renoir) necrofago scappato dagli scogli de L’Age d’Or. (Andrea Bruni).

Quatrième rendez-vous
La concezione surrealista verte sulla somiglianza tra il desiderio irrazionale e inconscio da una parte, e le sue strane manifestazioni nel mondo esterno dall'altra. Queste manifestazioni provano che il mondo esterno è esso stesso suscettibile di essere trasformato, che è possibile che una realtà “altra” vi si dissimuli o, per dirle con le parole di Breton, una «surrealtà». (Rosalind Krauss).

Cinquième rendez-vous
Leos Carax rompe un silenzio (interrotto solo da cortometraggi e collaborazioni) durato tredici anni per ricordarci che il mondo, come il cinema, non solo ha perso irrimediabilmente la sua unità ma si è franto in un enorme, gigantesco, spettacolo che ci vede dormienti e al buio in una notte artificiale all'interno di un cinema e che impegna quelli di noi ancora con gli occhi aperti in una reboante, metamorfica e logorante esibizione, con tanto di direzione e supervisione.

Sixième rendez-vous
“Recensire” (che brutta parola) Holy Motors sarebbe come far l’autopsia all’Olimpia di Hoffmann. Bisogna solo spalancare gli occhi (magari come Michel Piccoli, Bataille tumefatto), con ipnagogica brama, e piangere cercando di abbracciare Kylie Minogue, tramutata in un fantasma di Demy o indossare le velette di Rrose Sélavy per genuflettersi davanti a Eva Mendes, sotterranea “Pietà” duchampiana. (Andrea Bruni).

Septième rendez-vous
Leos Carax sa che il genere melò è il sostegno su cui è possibile costruire qualunque architettura ,su cui innestare generi e recuperi dalla tradizione (cinematografica, fotografica, teatrale e letteraria). Gli appuntamenti di monsieur Oscar sono tutti segnati da un fil rouge emotivo, tensivo e, ovviamente, inverosimile che lega le diverse incarnazioni di Monsieur Oscar nei territori del grottesco, dello straniante, del futuribile e del musicale (le fisarmoniche rock ed europee piuttosto che l’antologica del genere musical Who were we? cantata da Kylie Minogue).

Dernier rendez-vous
By the way, non dimentichiamoci che Edith Scob, oltre che manichino assassino, è pure la Beata Vergine (La Via Lattea del Sommo Buñuel). E allora brooouuuahah e Amen.

***
I brani di Andrea Bruni sono tratti dal suo intervento Il sex-appeal spettrale delle limousine, il brano di Rosalind Krauss è tratto da Passaggi (Bruno Mondadori, Milano 1998). 


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