domenica 15 dicembre 2013

Il grande Lebowski dei fratelli Coen (1998)


Il Grande Lebowski non è soltanto il capolavoro più conosciuto, amato e venerato (c’è anche una religione riconosciuta ispirata al protagonista: il Dudeismo) dei fratelli Coen è anche – insieme a Arizona Junior e Barton Fink – la loro pellicola più vicina a una scelta estetica Avant-Pop. La costruzione di una grande narrazione originale a partire da istanze, riferimenti e generi diversi è qui completamente riuscita ed esemplare. Joel e Ethan partono da un importante modello di riferimento: quel Raymond Chandler da cui i Coen mutuano la coesistenza (e interazione) orizzontale delle diverse classi sociali e la rappresentazione “epica” e squisitamente letteraria della città (in questo caso Los Angeles), con precisi connotati in termini di way of life (dalla corrotta Venice Beach alle autostrade in notturna passando per le ville dei magnati già incontrate in Barton Fink). Abbiamo poi la matrice filosofica di natura accademica (non dimentichiamo che Ethan si è laureato a Princeton con una tesi su Wittgenstein) che in particolare ne Il Grande Lebowski vede l’ideologia trotskista incarnata nella fisicità rilassata del Drugo (interpretato da un iconico Jeff Bridges) e il nichilismo tedesco materializzato nei suoi antagonisti, per l’appunto il trio dei Nichilisti: musicisti pop rock con esplicito riferimento ai Kraftwerk (quale band migliore per rappresentare l’estetica nichilistica?). Infine la rappresentazione critica dell’arte contemporanea e le sue futili e spesso incomprensibili istanze incarnate nel personaggio di Maude Lebowski (dichiarato riferimento all'artista dell’avanguardia femminista Carolee Schneemann).


Il Grande Lebowski è altresì forte di alcuni stilemi tipici dei Coen come i dialoghi serrati (il cui ritmo è preziosa eco della sophisticated comedy) e personaggi perturbanti e ossimorici come Walter Sobchak, altra incarnazione Avant-Pop del rassicurante John Goodman (le sue collaborazioni con i Coen andrebbero analizzate in uno studio a sé stante) che qui interpreta un sociopatico, veterano del Vietnam, ebreo d’adozione, dal forte disagio caleidoscopico. E ancora Jeffrey Lebowski, “il grande”, un riuscito riferimento al tipico self-made man a stelle e strisce: un multimilionario sulla sedia a rotelle per via di un incidente nella Guerra di Corea, impegnato nel sociale, sempre pronto a inveire contro i perdigiorno come il Durgo.

Per le sue implicazioni in termini di estetica Avant-Pop merita una nota la componente onirica della pellicola. Componente che si materializza in una vera e propria opera metacinematografica: il fittizzio film Gutterballs, del regista porno implicato nella vicenda Jackie Treehorn (interpretato da Ben Gazzara). Una visione surrealista in cui - sulle note della psichedelica Just Dropped In (To See What Condition My Condition Was In) - il Drugo e Maude Lebowski si muovono in uno scenario teatrale a metà fra il Milleluci e l’opera di Wagner con sapidi riferimenti al bowling (tema portante di tutta la pellicola, dichiaratamente scelto dai Coen per dare un tocco vintage alla vicenda che, ricordiamo, si svolge negli anni Novanta), alla Guerra del Golfo (indimenticabile il Saddam dietro il bancone delle scarpe all'inizio della sequenza), alla pornografia e al nichilismo tedesco con i tre antagonisti del drugo che imbracciate enormi forbici (simbolo di un “normalizzante” ritorno alla superficie) lo rincorrono fino al risveglio.

In definitiva non si esagera nel definire Il Grande Lebowski quale pellicola imprescindibile, in grado di influenzare più di una generazione di cinefili e aspiranti e “rilassatissimi” drughi.


2 commenti:

  1. No, non si esagera proprio per niente. Era già uno dei miei preferiti di sempre, e con questo tuo ottimo pezzo me l'hai fatto apprezzare e amare ancor di più! :)

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    1. Che meraviglia, è anche uno dei miei preferiti in assoluto! Sono felice che il post ti abbia fatto apprezzare un film che già hai amato molto. A presto.

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