martedì 25 ottobre 2011

X-Files: il valore narrativo e il piacere della lettura


Considero le prime sei stagioni di X-Files (1993-1999) – serie di culto creata dall’altrettanto mitologico Chris Carter – un prodotto a sé stante rispetto alle successive tre stagioni finali (e al film X-Files: voglio crederci del 2008).
Gli episodi che vanno dal 1993 al 1999 sono caratterizzati da un valore narrativo evidente, un’originalità e completezza tipici de letterario. In particolare essi hanno un rapporto imprescindibile con il genere ibrido dello Slipstream (in cui convivono ibridandosi i generi della science fiction, del fantasy e del grande canone letterario mainstream) e del New weird, sia per i modelli dai contorni indefiniti  che per l’impostazione formale di ogni episodio, ricco di dettagli e riferimenti. Basti pensare alla fotografia dai toni epici e freddi, alla musica di Mark Snow, alle sceneggiature di qualità, tutte caratteristiche che hanno fatto della serie un prodotto in grado di superare la prova del tempo.


Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) rappresentano due declinazioni assai cool e differenti dell’individuo metropolitano tipico degli anni Novanta: solo, istruito, dedito al lavoro e «vaccinato dall’ironia» (Aldo Grasso). Il primo brillante, scaltro (come una volpe, ovviamente), impulsivo, la seconda pragmatica e scettica ma su una base di fede a farle da sostegno e guida nei territori di confine della propria persona (quando le sarà diagnosticato il cancro o nel silente desiderio di maternità negata). Sono il punto di vista attraverso cui affrontiamo accoccolati sui nostri divani e poltrone (ormai sdruciti, son passati diciotto anni eh) le fiabe e i weird tales della serie, da quello macro dedicato alla segreta invasione aliena programmata per il 2012, alle incursioni nella moderna mitologia letteraria del mistero, qui ripresa nella contemporaneità: Bram Stoker, Mary Shelley, Heinrich von Kleist, il Robert Louis Stevenson dei racconti, Edgar Allan Poe, gli autori Slipstream William Gibson e Bruce Sterling e ovviamente il maestro americano e modello primario della serie H. P. Lovecraft nella sua rappresentazione del terrore celato da sterminati paesaggi boschivi, e della orrifica e silente vita in provincia. 
H. P. Lovecraft
Sono questi gli episodi migliori (in genere autoconclusivi) che hanno fatto della serie un fenomeno di culto di vastissime proporzioni. Fra essi meritano particolare attenzione: Chinga (5.10, 1998), Intelligenza artificiale. Kill switch (5.11) e How the ghosts stole Christmas (6.6). Il primo, scritto in collaborazione con Stephen King ci porta nei territori amati dall’autore di Carrie: una cittadina di provincia del Maine in cui il pregiudizio ha fatto di Melissa, una giovane ragazza madre, una strega. Fra segreti suburbani, morti annunciate da terribili visioni (tipiche di King) e il terrore venuto dal mare (uno splendido omaggio alla Innsmouth di Lovecraft) sarà una piccola bambola a trasformare la rilassante vacanza di Scully nel Maine in un’indagine oscura e sanguinosa. Nel secondo raccont… ehm episodio Intelligenza artificiale. Kill switch, scritto da William Gibson e Tom Maddox, Mulder e Scully sono immersi dagli autori di Monna Lisa Cyberpunk e Halo in un racconto digitale, deliziosamente Slipstream, in cui il racconto di viaggio si ibrida con il thriller spionistico digitale e si assiste alla rappresentazione della mitologia hacker, della ricerca del superamento dell’umano nel digitale, dell’epistemologia cyberpunk che ritroveremo anche nella sfortunata ma eccellente serie di Chris Carter Harsh realm, in cui i protagonisti lasciano il proprio corpo per vivere in una realtà simulata e parallela (N.d.R.: la serie è del 1999 proprio come il primo film della serie Matrix). Infine nel terzo episodio How the ghosts stole Christmas, scritto da Chris Carter i nostri rivisiteranno il racconto del terrore anglosassone rimanendo prigionieri di una casa infestata proprio il giorno di Natale. A rendere l’episodio speciale, oltre a una trama psicologico - sovrannaturale a scatole cinesi la presenza dell’immensa Lily Tomlin nelle vesti di una sadica e trapassata padrona di casa.

In definitiva rivedere le prime sei stagioni di X-Files (con l’intermezzo cinematografico del 1998: X-Files: il film) risulta imprescindibile sia per la comunità di voraci appassionati di serialità televisiva che per i lettori più esigenti, che qui troveranno la perfetta coniugazione (e amplificazione) visiva del piacere della lettura.

N.B.: non ho citato fra i modelli della serie Twin Peaks. Credo che il rapporto che X-Files ha con la creatura di David Lynch si possa ridurre alla sola presenza comune di David Duchovny.


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