Manifesto generazionale sottoforma di pellicola, ha
avuto la prontezza di fissare nel modo migliore quella MTV Generation che da lì a breve sarebbe esplosa, moltiplicandosi
negli anni a venire in decine e decine di nicchie sociali (leggi anche
appetibili segmenti commerciali). Parliamo del sempreverde Breakfast Club di John Hughes che con questo film riprese il filone generazionale cinematografico
contemporaneo degli High School Movie,
poi traslatosi con risultati altalenanti nella serialità televisiva (Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek) per arrivare oggi alla
deriva nel reality (si pensi al
programma Made di MTV). Il film è
ricordato anche per le qualità cinematografiche, tra cui dialoghi e
sceneggiatura memorabili.
È il 24 marzo 1984. Siamo a Chicago ed è sabato
pomeriggio. Un gruppo di automobili si avvicina all’ingresso principale della Shermer
High School, al volante alcuni genitori che lasciano di fronte all’ingresso i propri
figli, costretti a passare per punizione un pomeriggio intero nella biblioteca
della scuola. Fa eccezione Bender (Judd Nelson) che avvolto in un lercio
cappotto di panno raggiunge a scuola a piedi. Già dalle prime inquadrature si
delinea la base su cui Hughes intende poggiare Breakfast Club: la tipizzazione sociale dei diversi personaggi che
da individui incarnano cinque diverse categorie giovanili. Claire Standish (Molly Ringwald) è la «principessa di papà»,
ricca, vergine e popolare, Andrew Clark (Emilio Estevez), la sua controparte maschile, sportivo, icona
della scuola, vive carico di aspettative (alcune davvero oscure) da parte del
padre, Brian Johnson (Anthony Michael Hall) è il classico nerd, secchione e sensibile, Allison Raynolds (Ally Sheedy) è la disadatta, dark, stramba e
creativa (anche nella menzogna) e John
Bender, l’outsider, anticonformista, sessualmente libero e scanzonato, con
una famiglia violenta e disfunzionale alle spalle. Cinque declinazioni che
Hughes intrappola nella biblioteca della scuola per raccontare un’intera
generazione.
Chi sono io? |
Le cinque identità diverse descrivono se stesse e la percezione
che hanno delle altre attraverso il dialogo, che dalle scaramucce iniziali –
causate dalla definizione pregressa degli stereotipi («Lei ci vede come UN CERVELLO,
UN ATLETA, UNA SCHIZZATA, UNA PRINCIPESSA e UN CRIMINALE. Giusto? E proprio
così ci siamo visti stamattina» dirà la voce narrante di Brian in
apertura) – arriva al confronto psicoanalitico attraverso alcuni giochi verbali
messi su dai ragazzi per ammazzare il tempo. Con l'aiuto del motore narrativo costituito
dall’outsider Bender – che sembra il più lucido di tutti nell’estremizzare
scientificamente le reazioni dei compagni – i ragazzi arriveranno a raccontarsi
senza censure, toccando tutti i temi centrali della propria età: l’accettazione
di sé e degli altri, l’amicizia, il giudizio della società, le proprie
aspettative e quelle dei genitori, lo scopo della propria esistenza, l’ascolto
degli altri (contro il giudizio a priori), il dono di sé e ovviamente il sesso.
L’unità di luogo è essenziale per il raggiungimento
dello scopo: sembra che i protagonisti non possano esprimere se stessi (come vorrebbe
il tema loro assegnato per punizione) al di fuori dei vuoti corridoi, degli
uffici spersonalizzanti, degli archivi pruriginosi e dell’ampia sala lettura
della biblioteca (dove i ragazzi vuoteranno
letteralmente il sacco).
Infine è bene ricordare i ruoli minori ma essenziali
giocati dal professor Vernon (Paul Gleason) e dal bidello so smart Carl Reed. Il primo è disilluso, non
tollera che i giovani di cui è senza dubbio il principale antagonista possano
diventare la classe dirigente del futuro, il secondo definisce se stesso come «gli
occhi e le orecchie della scuola». Fatta eccezione per i genitori – presenti
in larga parte nei dialoghi dei ragazzi – questi due personaggi sono il
sostanziale confronto che essi hanno con il mondo adulto. Vernon rappresenta il
pensiero mainstream, l’istituzione omologante
da combattere, si disprezza (o si teme) per il ruolo incarnato, il secondo è
deriso perché agli occhi tutti in potenza
dei ragazzi rappresenta la sconfitta, il
tentativo fallito senza più remissione.
In definitiva credo sia necessario recuperare Breakfast Club sia per comprendere le origini della cultura
giovanilistica contemporanea, i suoi modelli e le istanze, sia per riscoprire
una pellicola meravigliosa, emozionale e di grande qualità.
Nessun commento:
Posta un commento