giovedì 24 maggio 2012

Popeye - Braccio di Ferro di Robert Altman (1980)


Benvenuti nella città di Sweethaven, un angolo d’America dove la tranquilla gente locale ha rinunciato alla democrazia per vivere meglio. Arroccata sul mare, vive di pesca, di quella sana semplicità che risulta preziosa in un periodo di crisi come la Grande Depressione. Qui giunge Popeye, alla ricerca del padre che l'abbandonò all’età di soli due anni, ma è soprattutto il luogo in cui Robert Altman decide di realizzare al suo tableau vivant Avant-Pop (il film è citato tra gli archetipi del movimento da Larry McCaffery nell’imprescindibile appendice al suo Schegge d’America).
Il pretesto è portare sullo schermo Popeye (Braccio di Ferro), personaggio dei fumetti creato nel 1919 da Elzie Crisler Segar, in uno degli esperimenti di osmosi fra la settima arte e il fumetto più felici in assoluto (estimatori della pellicola l'illuminato Roger Ebert e Vincent Canby). Altman dopo aver omaggiato nell'introduzione l’animatore Max Fleischer, realizza un film musicale e corale in cui i personaggi sono stereotipi dalle peculiarità esasperate, le scene riccamente coreografate e la comicità filologicamente slapstick. I costumi di Scott Bushnell (collaboratore di Altman in molti suoi lavori tra cui Pret-à-porter) tendono a esasperare i simboli sociali: cappelli enormi, stole viventi, scarpe da fumetto, cappotti a campana, colori sgargianti, pois, fiori e altri accessori giganti. Bushnell lavora come se i personaggi di American Gothic di Grant Wood debbano partecipare una sfilata di Moschino, per poi finire la serata all’after party organizzato dal Cappellaio Matto…

Altman, lo sappiamo, ama esasperare le caratteristiche di tutti i personaggi ed è meraviglioso vedere come Robin Williams l’abbia seguito nel realizzare un candido e giovane Popeye, guercio, con una pipa sempre all’angolo della bocca, due avambracci enormi, esibente il lessico “tocco” e sgrammaticato del personaggio originale, per non parlare poi dell’eccezionale Shelley Duvall nei panni della petulante Olivia Oyl. Con loro l’iracondo e, almeno in apparenza, tiranno  Bluto (occhio alla sua visione rabbiosa tutta in rosso!), il mellifluo J. Wellington Wimpy (in Italia Poldo Sbaffini), la famiglia Oyl tra cui il fratello di Olivia, Castor, che ha l’aspetto del Pinco Panco/Panco Pinco disneyano, il folle esattore che gira per la città su di un trabiccolo steampunk, lo scorbutico Braccio di Legno, il furbo Pisellino (con camicione d’ordinanza) e il resto della colorata fauna di Sweethaven.
Il film è più che il tentativo di realizzare il live action di una striscia leggendaria, è la satura visione al caleidoscopio delle radici weird su cui si è sviluppato l’immaginario della provincia americana. Ecco perché Altman regala spesso allo spettatore carrellate panoramiche della cittadina di Sweethaven, scene affollate perfettamente coreografate (siamo in un musical, perdinci!), dialoghi teatrali (dopotutto la serie originale s’intitola The Thimble Theatre) caratterizzati da una recitazione surreale ed esasperata che recupera allo stesso tempo le istanze del fumetto originale e la cultura comedy della prima Hollywood.


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