mercoledì 5 dicembre 2012

Doom Generation di Gregg Araki (1995)


L’avvento dell’apocalisse è vicino, a ben vedere essa è già avvenuta, consumandosi durante gli anni Novanta. Non a caso Doom Generation, film centrale della Teenage Apocalypse Trilogy di Gregg Araki, è aperto da un enorme rave party industrial immerso in una luce demoniaca e bidimensionale, in cui i teenager - abbandonato l’esame autoreferenziale e amniocentico-amicale di Totally Fucked Up e consci di essere ormai irrimediabilmente perduti - sono inghiottiti verso la fine (annunciata per strada piuttosto che in negozi di abbigliamento che avrebbero mandato in brodo di giuggiole John Waters e Van Smith). Non ne conoscono la portata ferina ma sanno già che sta arrivando, «mi sento come un castoro che soffoca nel buco del culo di Richard Gere» dirà Jordan, cercando di dare una forma al loro presagire. Non gli rimane che attraversare quel che resta della civiltà, un susseguirsi di non luoghi pop e kitsch, shop in cui paghi sempre 6,66$ (come vorrebbe la Bestia), cartellonistiche prosastiche, camere d’albergo situazioniste (che diverranno modello per i futuri ambienti abitati dai ragazzi di Nowhere), bar di cartapesta, negozi di dischi (immancabili in una trilogia che fa della colonna sonora un punto di forza poetico ed epocale) e disperati e lerci paesaggi di fine-mondo. Tutto intorno ai tre protagonisti è ormai «post», dalla fauna, che in Totally Fucked Up avevamo solo intravisto, e che qui accerchia i nostri sempre più pericolosamente, soffocandoli di un desiderio che è ossessione e che possiede caratteri a metà fra l’infantile e il sessuale, «voglio la mia babycake!» griderà loro uno di essi mentre i tre sgommano ancora una volta via nella notte.

Amy Blue: dialoghi figurativi in acido.
Della famiglia customizzata di Totally Fucked Up è rimasto solo un sensualissimo e nichilistico menage a trois che ha come protagonisti tre adolescenti risputati sulle rovine della civiltà moderna dallo stesso buco nero che ha inghiottito Kenneth Anger, MTV, Andy Warhol, Bettie Page e Mark Twain. Amy Blue, interpretata da Rose McGowan nel ruolo della sua vita, è il personaggio che non possiamo non amare di più, i suoi dialoghi figurativi in acido sono spassosissimi, il suo sguardo disgustato, eccitato, che diverrà rotondo come quella di una maschera Kabuki solo nel Grand Guignol finale, il suo incarnato latteo in grado di far perdere la testa (o un braccio, fate voi) a chiunque, tutto concorre a farne l’icona underground che è, in effetti, diventata negli anni successivi. Jordan, interpretato dall’amato James Duval (che Araki ha voluto come protagonista di tutte e tre le pellicole della Teenage Apocalypse Trilogy), è un idiota dostoevskiano nel corpo niveo e sensualissimo di un adolescente. Jordan è allucinato e infantile nel rapporto con Amy quanto divertito e irrimediabilmente attratto dal luciferino Xavier Red (Jonathon Schaech, cavaliere nero, erede pansessuale del Bruce Byron di Scorpio Rising) che piomba sulla coppia, affastellando il suo corpo tatuato (tra cui un certo Gesù Bambino sul pene) su quello degli altri due, spingendoli continuamente a superare ogni possibilità erotica, le uniche rimaste in un oggi finito. Dietro di loro brilla la scia di sangue e corpi mutilati: teste che parlano dopo essere saltate via dal corpo, suicidi rituali, combattimenti à la Mortal Kombat in salsa queer.

Nottetempo, mentre un freddo da camera mortuaria attanaglia i corpi nudi dei nostri eroi, a riparo in un capannone abbandonato, si consumerà bieca e improvvisa l’Apocalisse. Vacua, ottusa, pericolosa e ignorante come deve essere. È mattino, la violenza è deflagrata e a noi non resta che indossare occhiali da sole che coprano l’innominabile orrore ormai impresso e mangiare doritos in silenzio, mentre andiamo verso la costa, verso quel che ci rimane da vedere, fosse’anche un «episodio di Beverly Hills 90210 in acido».



Nessun commento:

Posta un commento