Le eredità, di qualunque tipo, sono spesso simili ai
fiumi carsici. Il riarrangiamento genico può provocare il salto di una
generazione o più, e rivelare un insieme di caratteri dopo tempo. È quello che
è successo alla schiera di registi freak
e proto-punk che ha guidato orde di cinefili antisistema, geek, disturbati (leggi illuminati…). Registi come il «re del
vomito» ed esteta sopraffino John Waters
o l’agghiacciante e formale Paul Bartel
che ci hanno fatto attraversare le lande di un cinema “altro”, irriverente,
sanguinolento, umorale, in grado di ribaltare codici e stilemi, un cinema
capace di mettere la società capitalistica di fronte alle proprie orribili
generazioni. A distanza di anni dall’uscita di Female Trouble e Bambole e
sangue ecco che, fresco di diploma alla prestigiosa Tisch School of the
Arts, arriva questo giovane e promettente Richard
Bates che realizza una prima prova che è già un capolavoro: Excision.
Ambientato in una suburbia che a
stento riesce a mantenere lindi i propri steccati, le cui nevrosi sottese a
splendidi sorrisi (secondo la lezione di Grace Metalious e Bree Van De Kamp)
non è più possibile celare. Un luogo vacuo, in cui quel che resta
dell’istituzione familiare e scolastica è sul tavolo operatorio messo su in
garage dalla morte, ancora una volta pronta a lavorare in diretta. Nella zona
residenziale di Excision alcuni dei freak suburbani più iconici della
cinematografia americana occupano posti istituzionali: Traci Lords è una nevrastenica e moralmente minimale madre di
famiglia, Malcom McDowell un
conforme professore di matematica, John Waters un contrito reverendo e il mefistofelico Ray Wise veste, ovviamente, i panni del preside. Il lavoro
situazionista di Bates si completa con la scelta della protagonista, la star di
90210 Annalynne McCord che stravolge la propria fisicità per vestire i
panni di Pauline, agghiacciante adolescente dalle pulsioni necrofile,
sociopatica con la passione per la chirurgia, il sangue e le infezioni.
John Waters è il reverendo William. |
In Pauline ritroviamo la sfrontatezza e la violenza
antisociale più liberatoria (e sana) dei migliori film di Waters, gli appetiti ferini
e celati delle creature di Paul Bartel, la poetica della «nuova carne» di
Cronenberg e tutta la formale bellezza della fenomenologia del bisturi di Nip/Tuck. Inoltre nell'universo alla
deriva di Excision, Pauline vede la chirurgia
come liturgia e rituale (lo dimostrano tutte le sequenze oniriche che la
colgono in «estasi» nel sonno) e la preghiera è il canale giusto per
giustificare il crescendo della sua psicosi. La religione, manto e
giustificazione della borghesia conservatrice americana, è qui usato dalla
creatura che quest’ultima ha partorito sui vialetti perfetti della zona
suburbana. Un’operazione eccellente e deliziosamente eversiva.
In definitiva Excision
supera i confini del cinema cui fa riferimento, ne riarrangia i connotati
divenendo il miglior e più completo manifesto della contemporaneità post-crisi.
L’abbraccio e l’urlo finale di Traci Lords alla figlia è il riconoscimento da
parte del capitalismo dell’abominio irreversibile e inconsapevole ormai creato.
Non esagero dicendo che questa è l’immagine più potente che abbia mai tentato
di descrivere l’oggi.
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