mercoledì 27 marzo 2013

Excision di Richard Bates Jr. (2012)


Le eredità, di qualunque tipo, sono spesso simili ai fiumi carsici. Il riarrangiamento genico può provocare il salto di una generazione o più, e rivelare un insieme di caratteri dopo tempo. È quello che è successo alla schiera di registi freak e proto-punk che ha guidato orde di cinefili antisistema, geek, disturbati (leggi illuminati…). Registi come il «re del vomito» ed esteta sopraffino John Waters o l’agghiacciante e formale Paul Bartel che ci hanno fatto attraversare le lande di un cinema “altro”, irriverente, sanguinolento, umorale, in grado di ribaltare codici e stilemi, un cinema capace di mettere la società capitalistica di fronte alle proprie orribili generazioni. A distanza di anni dall’uscita di Female Trouble e Bambole e sangue ecco che, fresco di diploma alla prestigiosa Tisch School of the Arts, arriva questo giovane e promettente Richard Bates che realizza una prima prova che è già un capolavoro: Excision. Ambientato in una suburbia che a stento riesce a mantenere lindi i propri steccati, le cui nevrosi sottese a splendidi sorrisi (secondo la lezione di Grace Metalious e Bree Van De Kamp) non è più possibile celare. Un luogo vacuo, in cui quel che resta dell’istituzione familiare e scolastica è sul tavolo operatorio messo su in garage dalla morte, ancora una volta pronta a lavorare in diretta. Nella zona residenziale di Excision alcuni dei freak suburbani più iconici della cinematografia americana occupano posti istituzionali: Traci Lords è una nevrastenica e moralmente minimale madre di famiglia, Malcom McDowell un conforme professore di matematica, John Waters un contrito reverendo e il mefistofelico Ray Wise veste, ovviamente, i panni del preside. Il lavoro situazionista di Bates si completa con la scelta della protagonista, la star di 90210 Annalynne McCord che stravolge la propria fisicità per vestire i panni di Pauline, agghiacciante adolescente dalle pulsioni necrofile, sociopatica con la passione per la chirurgia, il sangue e le infezioni.

John Waters è il reverendo William.
In Pauline ritroviamo la sfrontatezza e la violenza antisociale più liberatoria (e sana) dei migliori film di Waters, gli appetiti ferini e celati delle creature di Paul Bartel, la poetica della «nuova carne» di Cronenberg e tutta la formale bellezza della fenomenologia del bisturi di Nip/Tuck. Inoltre nell'universo alla deriva di Excision, Pauline vede la chirurgia come liturgia e rituale (lo dimostrano tutte le sequenze oniriche che la colgono in «estasi» nel sonno) e la preghiera è il canale giusto per giustificare il crescendo della sua psicosi. La religione, manto e giustificazione della borghesia conservatrice americana, è qui usato dalla creatura che quest’ultima ha partorito sui vialetti perfetti della zona suburbana. Un’operazione eccellente e deliziosamente eversiva.
In definitiva Excision supera i confini del cinema cui fa riferimento, ne riarrangia i connotati divenendo il miglior e più completo manifesto della contemporaneità post-crisi. L’abbraccio e l’urlo finale di Traci Lords alla figlia è il riconoscimento da parte del capitalismo dell’abominio irreversibile e inconsapevole ormai creato. Non esagero dicendo che questa è l’immagine più potente che abbia mai tentato di descrivere l’oggi.
  

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