di Laura Vayola
Un’edizione molto speciale perché ha segnato la raggiunta
“maturità” della manifestazione ma anche una tappa fondamentale nell'evoluzione
della stessa.
Milano Film Festival è sempre stato fucina e osservatorio
per talenti più o meno conosciuti, tappa fondamentale per appassionati e
neofiti del cinema ma soprattutto corsia preferenziale per i giovani cineasti
di tutto il mondo. Anche quest’anno il concorso ha visto protagonisti undici
lungometraggi e ben cinquanta cortometraggi provenienti da ogni angolo del
globo.
Tra i più significativi sono sicuramente da segnalare Les Rencontres D’Après Midi (vincitore nella sezione lungometraggi), esordio alla regia di Yann Gonzales (ex
M83) tra fiaba kitsch, immaginario surrealista e allusioni porno-soft e Ilo Ilo (Anthony Chen/Singapore/2013,
Camera d’Or a Cannes) melò familiare delicato e toccante, sullo sfondo di una
Singapore in piena crisi economica.
La selezione cortometraggi ha lasciato molto spazio a forme
autoriali ibride, al mash-up tra animazione e narrazione cinematografica
classica dagli esiti inaspettati, come nel brillante Fatigués d’etre beaux (Anne-Laure Daffis, Léo
Marchand/France/2012), western tra tinte oniriche e sfide dell’assurdo. Da segnale anche Pequeno bloque de cemento con pelo
alborotado conteniendo el mar (Jorge Lopez Navarrete/Spain/2013),
vincitore del premio come miglior film, una poetica storia di libertà che
rifugge la prigione delle “categorie”.
Ma la programmazione del festival, come sempre ben
diversificata, non ha trascurato l’animazione, la forma documentaristica, gli
incontri tra arte e cinema, i focus d’autore e la musica, con un’ampia rassegna
di undici artisti italiani e non.
La maratona d’animazione, uno degli appuntamenti
fondamentali del Milano Film Festival, ha registrato come sempre una
grandissima partecipazione da parte del pubblico, accorso numeroso alla
proiezione di più di quaranta cortometraggi variegatissimi nelle soluzioni
tecniche e nei linguaggi espressivi, dalla stop
motion alla clay motion, dalla 2D alla silhouette.
Piccoli gioiellini come The
animation of a men (Amanda Nedermeijer/Netherlands/2012), Fear of flying (Conor
Finnegan/Ireland/2012) o Carn (Jeff
Le Bars/France/2012) si sono susseguiti durante la lunga maratona, fornendoci
una vastissima gamma di soluzioni estetiche, di soggetti narrativi, di studio
volto alla sperimentazione.
Con la sezione «Colpe
di Stato» ci siamo addentrati nel terreno delle “verità nascoste”,
attraverso nove documentari tra cui segnalerei il crudissimo Camp 14 – Total Control Zone (Marc
Wiese/Germany/2012), un vero atto d’accusa contro i campi di prigionia in Corea
del Nord e The act of killing (Joshua Oppenheimer/Denmark, Norway, UK/2012) incentrato sullo sterminio di
oltre mezzo milione di indonesiani da parte dei famosi “squadroni della morte”.
Non è mancato lo spazio per lungometraggi Outsiders, storie di personaggi
accomunati dal un comune senso di estraneità, per l’appartenenza ad una
comunità di emarginati, dalla lontananza, dall'esclusione. Pellicole come Rent a family Inc. (Kaspar Astrup
Schoder/Denmark/2012), Lunarcy (Simon Ennis/Canada/2012) o 12 o’ Clock Boys (Lofty Nathan/USA/2013) disegnano, attraverso le immagini, la perenne
insoddisfazione appartenente al genere umano, la voglia, impossibile da
soddisfare, di far parte di un “qualcosa”.
Il consueto focus autoriale quest’anno ha omaggiato il
lavoro del cineasta francese Sylvain George, attraverso la proiezione di tutti
i suoi cortometraggi e di Les eclats e Vers Madrid, due tra i suoi
lungometraggi che si propongono di scardinare le consuete modalità di
comunicazione per lasciare spazio all'espressività e all'eloquenza
dell’immagine.
La sperimentazione come chiave di volta dell’intera
manifestazione, come nella sezione «Vernixage» che interroga le vaste connessioni che intercorrono tra arte e cinema
attraverso il lavoro di tre differenti autori e dei loro lavori. Frozen flames (Luca Trevisani/Italy/2013),
Negus – Echoes Chamber (Invernomuto/Italy/2013)
e Now showing: Austerity Measures (Joao Laia e Andrey Shental/UK/2012) sono testimonianza di un cinema volto alla
sperimentazione di profili sempre nuovi e nel contempo di una continua ricerca
di connessione verso forme artistiche delle origini.